Claudia B. Solimei
da Bologna
Sono morti tutti: l’assassino, deceduto nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino e, ovviamente, quella che era stata la sua vittima. E allora accade che a essere condannato è stato lo psichiatra, Euro Pozzi, che aveva in cura l’omicida: quattro mesi di reclusione (pena sospesa) e 120mila euro da pagare di provvisionale ai parenti della vittima. La sua colpa: avere sospeso una cura farmacologica al paziente che, poco tempo dopo, uccise a coltellate il suo infermiere. In pratica, per la prima volta un medico è stato ritenuto responsabile della condotta giudiziaria di un suo paziente nei confronti di una terza persona.
Il delitto si consumò il 24 maggio del 2004 in una stanza della comunità per ex degenti psichiatrici Albatros di Imola: Giovanni Musiani, 59 anni, paziente psicotico interdetto dal 1974, finito nella comunità convenzionata con l’Ausl cittadina dopo la chiusura dei manicomi, accoltellò a morte Ateo Cardelli, inserviente nella stessa struttura.
La sentenza è di venerdì, le motivazioni si leggeranno fra sessanta giorni, ma per i medici fa già scandalo: «È come se un barista fosse condannato perché un suo cliente poi fa un incidente» sbotta Michele Ugliola, vicepresidente della Fref, la Federazione degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri. «Come mai questo metro non viene adoperato per altri eventi?» si chiede ancora Ugliola che poi si appella al recente caso di cronaca della giovane Deborah Rizzato, uccisa a Biella da un uomo che l’aveva stuprata dieci anni fa, che da tempo la importunava e che lei aveva denunciato decine di volte: «Si condannerà l’eventuale medico che non ha trattato adeguatamente l’omicida - domanda polemicamente il medico -, annunciato da tanti segnali e coperto da inutili denunce e segnalazioni all’autorità, o si condanneranno anche le forze dell’ordine, i magistrati che hanno ignorato le denunce e, perché no, anche il ministro della giustizia Castelli che pure ha mostrato un’ammissione di responsabilità dello Stato? Risarciranno penalmente ed economicamente costoro - conclude - i parenti della povera Deborah?».
Dello stesso avviso il legale di Pozzi, che oggi non esercita più la sua professione a Imola e che al tempo del delitto non lavorava all’interno della struttura psichiatrica ma aveva in cura Musiani: «La sospensione della terapia farmacologica non ha un nesso dimostrato di causalità con il comportamento violento - spiega Guido Magnisi, del foro di Bologna - perché il soggetto era violento, come anche calmo, sia quando era in terapia che quando non lo era». Per questo il legale, che segue il caso assieme al collega Giuseppe Giampaolo, ha già annunciato che farà ricorso in appello. «La novità è che per la prima volta a un medico viene riconosciuta la responsabilità colposa nei confronti di un terzo e non del suo stesso paziente, come nel caso di un suicidio» continua Magnisi. Stesso aspetto che «sconcerta» Ugliola.
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