La malattia di Olmert fa bene alla pace

La malattia  di Olmert fa bene alla pace

Annunciando di essere stato colpito dal cancro, il premier israeliano Olmert ha realizzato un brillante successo d’immagine. Per comprenderne l’importanza occorre anzitutto ricordare come i più estremisti fra gli elementi religiosi si dicessero convinti (come del resto non pochi arabi) che tutti i responsabili dell’evacuazione dei coloni di Gaza fossero stati oggetto di punizione divina: Sharon, tuttora in coma; l’ex capo di Stato Maggiore delle Forze Armate; l’ex ministro della Difesa; l’ex ministro del Tesoro; l’ex presidente dello Stato; il coordinatore civile dell’evacuazione dei coloni, eccetera. Solo Olmert appariva inspiegabilmente (per loro) scampato e per di più «beneficato» con una incomprensibile stabilità governativa. Ora i «conti tornano» in un certo senso anche per coloro che chiedono a gran voce la liberazione dell’assassino di Rabin e la caduta del governo. Hanno l’impressione che forse è meglio non interferire troppo nei piani ignoti del destino.
In secondo luogo, la malattia del premier ha sviluppato un’ondata di simpatia umana indiscriminata da destra e da sinistra per un personaggio vilipeso dall’opinione pubblica. L’annuncio del malore ha già fatto risalire le azioni di Olmert alla borsa dei sondaggi dopo un primo aumento a seguito dell’operazione da lui ordinata contro una base siriana nel settembre scorso.
In terzo luogo l’incertezza per la salute del premier diminuisce indirettamente la pressione di chi ne chiede - in particolare i media - le dimissioni e di andare a elezioni anticipate. Meglio dunque lasciare alla malattia, alla natura, alla provvidenza (a seconda delle preferenze) di fare il suo corso.
Infine l’impatto dell’annuncio di Olmert sui giochi diplomatici. I palestinesi, con l’aggiunta dei membri del quartetto della Road Map e di alcuni Paesi arabi, si rendono conto che Olmert è il solo (e forse l’ultimo) premier israeliano andato al potere sulla base di un programma elettorale impegnato a mettere fine alla colonizzazione nelle zone occupate. La guerra del Libano aveva interrotto lo sviluppo di questa politica. La malattia di Olmert in un certo senso la rinvigorisce. Il premier lo ha dimostrato del resto nel suo discorso commemorativo dell’anniversario dell’assassinio di Rabin alcuni giorni fa quando ha dichiarato di voler continuare la politica di Rabin - con la sua stessa prudenza - ma con l’aiuto della conferenza di Annapolis alla fine del mese.

Andarci con la fragilità fisica imposta dalla malattia, in un mondo dominato dall’immagine più che dalla ragione, significa disporre di una carta aggiuntiva nel quadro di un conflitto che per molti versi si trasforma in teatro politico dell’assurdo.

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