La «maledizione» delle amministrative

BolognaAltro che Lourdes, per il Pd a Bologna è tutto da rifare. Non più tardi di una settimana fa, il segretario dei democratici Pier Luigi Bersani aveva ironizzato sulla malasorte, che da tempo si accanisce sui bolognesi, progettando di mandare tutti a farsi benedire. Oggi, a conti fatti, verrebbe da aggiustare il tiro declinando gli strali della sfortuna tutti in direzione Pd.
L’ultimo atto di un decennio nero per quello che, in città, è ancora considerato il «partitone», si è consumato ieri, in una saletta della Casa di Cura Villalba. Da lì, a mezzogiorno, è partito l’ultimo terremoto rosso. «La mia corsa si ferma qui» ha annunciato il consigliere regionale Maurizio Cevenini, front runner del Pd per le primarie di coalizione in vista delle amministrative 2011. Dopo una settimana di ricovero e di isolamento assoluto, a seguito di un’ischemia transitoria, il super favorito ha lasciato la corsa. L’ultima telefonata prima dell’annuncio definitivo è con l’amico Gianni Morandi. Sì, perché il Cev è l’amico dei vip e della curva allo stadio e, non a caso, si è presentato con la lettera di addio tra le mani indossando la tuta dei rosso-blu. Proprio questo insieme di elementi, la popolarità, era considerato il mix ideale per costruire a tavolino una vittoria alle urne. Questa, l’ultima scommessa perdente del Pd a Bologna. Una débâcle che si somma al divorzio consumato con Cgil, Fiom e Coop rosse che già in estate avevano voltato le spalle a questa linea mai condivisa. Eppure, la vicenda personale di Maurizio Cevenini è testimonianza diretta del progressivo declino del partito sotto le Due Torri.
L’eterno candidato alle primarie ha mosso i primi passi verso la poltrona più alta di Palazzo D'Accursio nel 1999, proprio quando la maledizione della sinistra è esplosa inesorabile. Presente nel poker di candidati delle primarie dell’epoca, Cevenini arriva quando una parte del partito ha puntato tutto sulla «rossa» Silvia Bartolini. Chi non ci stava andò al mare e Guazzaloca spazzò via tutti vincendo le amministrative sostenuto dal centrodestra.
Dopo cinque anni di cortocircuito, a offrirsi di risolvere i guai bolognesi arrivò Sergio Cofferati. «Invece di ristrutturare la situazione ci hanno messo su del botulino», ironizza oggi Giorgio Guazzaloca che all’epoca non riuscì a imporsi per la seconda volta. Il Cinese diede solo il colpetto di grazia sparigliando definitivamente le carte dei salotti, non creando mai un rapporto di sintonia con la città e rompendo le logiche consociative di un Pd che si dirigeva veloce verso i punti più bassi della sua storia. Fallimento numero due.
Poi è la volta di Flavio Delbono. Le primarie «farlocche» del 2009 avevano bisogno di comparse e Maurizio Cevenini di nuovo c’è, presentandosi solo per perdere contro il pupillo di Romano Prodi. Una volta eletto, l’ex vice presidente dell’Emilia Romagna, si fa accompagnare dal Professore a messa, fino all’ultimo, fino a quando la Procura comincia a tendere lo sguardo sulle sue note spese. In dicembre Delbono viene indagato per aver addebitato alla Regione vacanze-missioni in Messico con la ex fidanzata e non solo. È il 25 gennaio 2010 quando ormai il sex-gate rischia di compromettere anche le Regionali di marzo. Prodi ed Errani, vicini a Delbono fino all’ultima telefonata, se ne sbarazzano. Il sindaco se ne va. Il tonfo del Pd alle urne di primavera si sente e anche forte.
Oggi siamo al colpo di grazia. La carta della popolarità voluta fortemente dai vertici locali diventa l’ultimo, l’ennesimo boomerang. I pezzi da novanta del partito, apparentemente, sono rimasti a guardare.

Defilato Prodi, silenzioso Errani, tutto da interpretare Bersani che con il suo ultimo «noi gli vogliamo bene» rivolto al candidato ricoverato, di fatto lo ha invitato a cedere il passo. A chi? Prima di fare nomi, forse è meglio ascoltare il segretario e fare un salto a Lourdes.

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