«La mamma mi ha detto che devo andare a lavorare»

«Come ti chiami?». Scuote la testa. «Quanti anni hai?». Niente. Spaurito, più probabilmente spaventato. Buttato per terra in galleria De Cristoforis, davanti alle vetrine di Max Mara, proprio all’angolo con corso Vittorio Emanuele, lì dove la città si fa più opulenta e la gente passa dal lavoro allo shopping o dallo shopping al lavoro. Avrà dieci anni, le gambe lunghe e magre di un bimbo che si sta affacciando all’età dello sviluppo. Le scarpe da ginnastica troppo grandi per lui, i jeans sdruciti (non per la moda) e un giubbino rosso sopra la felpa blu. I capelli biondi tagliati malamente, gli occhi sgranati e l’italiano stentato di chi non ha mai visto un banco di scuola. «Perché sei qui?». Non risponde e capovolge il bicchiere di cartone della Coca Cola che tanto piace ai suoi coetanei. Il suo è lurido, ci raccoglie le monetine. Pochi centesimi che mette in fila mentre evita infastidito le domande. Le mette in fila con indifferenza, come un gioco. Fa una pila, la fa cadere. Poi ricomincia. Si capisce che non è roba sua, che per lui una moneta non serve a comprare qualcosa. A sera dovrà consegnarle e a lui non resterà proprio niente. «Sei mai andato a scuola a giocare con gli altri bambini?». Finalmente ricambia con uno sguardo. «La mamma - stiracchia qualche parola - mi ha detto che devo andare a lavorare». Niente scuola, niente giochi. E il lavoro, per la sua mamma, è l’accattonaggio tra le vetrine più luccicanti della città e le signore che passando si inteneriscono e lasciano qualche centesimo. Quasi a lavarsi la coscienza, come se quel soldino potesse risolvere qualcosa in una vita che qualcuno ogni giorno gli sta portando via.
Per la verità una signora si ferma. Gli parla: «Vieni ti porto da qualcuno che si occuperà di te. Da qualcuno che ti aiuterà a star meglio». Il bambino allora ha uno scatto. «No». E poi ancora, «io non voglio andare proprio da nessuna parte». Si stende ancora per terra e riprende in mano la piccola pianola. Uno di quei giocattoli che gli altri bambini hanno trovato sotto l’albero di Natale e che per lui invece è uno «strumento di lavoro». Non serve per divertirsi e infatti la stringe senza nessuna gioia. La maneggia, ma non gli piace suonarla, non prova nessuna gioia ad assordare i grandi che lo circondano.

Poco lontano camminano due carabinieri di quartiere. Non c’è nulla di strano. Lui fa ormai purtroppo parte di un paesaggio urbano in cui un bambino che mendica invece di andare a scuola è cosa che non fa più notizia. E nemmeno reato.

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