Il manager: «I sistemi di difesa ci sono: bisogna informarsi»

La «77 Agency» si occupa di marketing digitale e in Italia è una delle agenzie ai primi posti nella consulenza per gli investimenti via new media, e dunque (non solo) su Facebook. Marco Corsaro, 35 anni, l’ha fondata 9 anni fa a Londra con altri tre soci: oggi la «77» ha sedi da Milano fino ad Hong Kong, 100 dipendenti e un fatturato di 25 milioni di euro l’anno. Si occupa di veicolare il messaggio delle aziende verso gli utenti. E con la privacy ci lavora tutti i giorni.
Ha sentito cos’è successo su Facebook?
«In realtà in Italia l’allarme è arrivato solo adesso: negli Usa era scoppiato già a metà agosto. E ovviamente, visto il numero degli utenti, aveva avuto una vasta eco».
E allora: di chi è la colpa?
«Non certo di Facebook. Anzi».
Sicuro?
«Garantito: Facebook è un’azienda serissima su questo punto. Riguardo alla privacy sono degli estremisti, le regole che impongono ai partner sono severissime. In tutti i programmi in cui lavorano con aziende esterne».
Tipo?
«Guardi, la mia agenzia è una delle tre mondiali che hanno accesso a una quantità importante di dati sensibili. Al minimo errore, saremmo tagliati fuori».
Come nel calcio...
«Infatti. E la prima ammonizione è solo per cose lievi».
E allora come si fa a salvaguardare la privacy?
«C’è un solo modo: essendo meno pigri».
In che senso, scusi?
«Gliel’ho detto che Facebook non è responsabile per quello che è accaduto. In realtà tutti noi - mi ci metto anch’io all’inizio - una volta che ci siamo registrati non siamo attenti a stare al passo con l’evoluzione del servizio».
Faccia un esempio.


«Le faccio una domanda: lo sa che non si può più taggare le foto, ovvero mettere il nome di un utente sopra un’immagine presente sul social network, senza che l’amico taggato lo consenta?».
In verità no.
«Ecco. Appunto. Prima non era così, è la dimostrazione che bisogna sempre essere attenti ai particolari».

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