Il manager Telecom suicida a Napoli: al setaccio consulenze per 30 milioni

Gli inquirenti: «La risposta è nel computer, fra password e decine di file protetti»

Gianluigi Nuzzi

da Milano

Alcune decine di file compressi per milioni di dati protetti da chiavi d’accesso, password che ora bisognerà forzare per trovare una ragione al suicidio di Andrea Bove, il manager della sicurezza Telecom che venerdì prima di pranzo si è buttato da un cavalcavia della tangenziale a Napoli.
È una scelta estrema non programmata, maturata, se non poco prima, di sicuro negli ultimi giorni: nessuna delle persone interrogate dalla procura di Napoli che indaga contro ignoti per istigazione al suicidio aveva raccolto particolari confidenze sugli intenti di Bove di farla finita. Da stamane si attendono negli uffici degli inquirenti anche le ultime persone che il manager aveva sentito al telefonino prima di uccidersi.
Gli ultimi squilli risalgono a circa 15 minuti prima che Bove lasciasse la sua Mini One a motore acceso sulla rampa della tangenziale. Ma il materiale indiziario più importante potrebbe rilevarsi proprio quello informatico raccolto dalla polizia postale che già poche ore dopo il suicidio su ordine del Pm Saviotti, come ha svelato Il Giornale sabato, era negli uffici di Bove sia a Roma sia a Milano. Gli inquirenti dovranno superare le, pare doppie o triple, chiavi d’accesso che Bove aveva disposto sui file per lui più preziosi.
Da lì si potrebbe conoscere la ragione, le preoccupazioni, i tormenti di questo manager. Che negli ultimi giorni, dicono, sarebbe stato pedinato. Ma da chi se non risulta indagato? Insomma una situazione controversa con tutta una serie di personaggi in corsa chi a glorificarlo, «senza di lui le indagini su Abu Omar non sarebbero state possibili», chi a ridimensionarlo, «ricordiamoci che le falle su tabulati e intercettazioni partivano proprio dal suo ufficio e fu proprio il vertice a disporre un auditing interno che scoprì il sistema radar clandestino».
In realtà in questa storia di intercettazioni e veleni erano in diversi a vivere sul filo della legalità tra doppigiochi e verità spesso simulate. Ad oggi nemmeno è certo se Bove fosse o meno un manager legato a Giuliano Tavaroli, come certe guerre intestine farebbero ritenere oppure un manager del quale la procura di Milano a un certo punto ha iniziato a fidarsi.
Di certo la scomparsa di Bove si rifletterà anche sull’indagine milanese che i Pm Stefano Civardi e Fabio Napoleone stanno portando avanti sui sistemi di intercettazione Telecom. E sulle commesse che società di 007 ritenute vicine a Tavaroli ricevevano. Anche qui le somme sarebbero ben superiori ai 14 milioni di euro che la D'Istinto di Cipriani avrebbe fatturato negli ultimi anni. La somma delle fatture al centro degli accertamenti arriverebbe infatti a quasi 30 milioni di euro dal 2001 ad oggi. Con fatture emesse da società estere e relativi bonifici. Ma c’è da fare chiarezza anche sulle causali di questi pagamenti.

In alcuni casi, ad esempio, venivano indicate delle bonifiche ambientali eseguite con fatture per Telecom, Tim o Pirelli fino a 45mila euro quando nel mercato delle società specializzate i costi di rado superano i 6-8mila euro.
gianluigi.nuzzi@ilgiornale.it

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