«Al prefetto e al questore abbiamo chiesto di provvedere allo sgombero immediato di quei focolai delleversione che costituiscono un pericolo per la sicurezza della cittadinanza milanese». Guido Manca rammenta che da assessore alla Sicurezza di Palazzo Marino aveva presentato una richiesta con tanto di elenchino dei centri sociali che «costituiscono un pericolo». Fortini dellillegalità già finiti nel mirino della magistratura mentre «lex prefetto Bruno Ferrante filosofeggiava»: «Luoghi che Milano non può tollerare e che devono essere chiusi, come giustamente detto pure dal sindaco Letizia Moratti». Note di un assessore uscente che, dossier alla mano, ha provato come lex inquilino di Palazzo Isimbardi «abbia democraticamente tollerato quei centri nonostante i cittadini onesti reclamino il rispetto della legge».
Responsabilità di ieri che rischiano di ripercuotersi sul futuro di Milano, «se Ferrante fosse intervenuto immediatamente quando lamministrazione Albertini glielo chiedeva non ci troveremmo in questa condizione, nel dover ancora ripristinare la legalità». Accusa, quella rivolta allex prefetto di essere «stato alla finestra», che si traduce in decine di sigle: Orso, Transiti, Cox18, Torchiera, Pergola, Panetteria Occupata, Casa Loca, Palestra popolare, Cantiere, Vittoria e, tra gli altri, pure il Bulk. Anzi, questultimo va cancellato: «I prodi autonomi si sono fatti pagare la buonuscita» rivela Manca. Già, per uno sgombero spontaneo «senza resistenza e senza barricate» quelli del Bulk si sono intascati un bel gruzzoletto prendendo esempio dagli ex occupanti del cinema Zara di via Garigliano che, nel 2003, furono i precursori del nuovo business.
Strada che gli altri irriducibili dellautonomia meneghina non sembrano voler seguire, «sono i centri che Milano deve chiudere per vivere con tranquillità: non sono luoghi di aggregazione giovanile bensì covi di un antifascismo militante che, come si è visto l11 marzo in corso Buenos Aires, non usa le parole ma le molotov».
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