Onorevole Mannino, dopo 16 anni è stata scritta la parola fine sulla sua vicenda giudiziaria.
«Non ho molta voglia di parlare, ho uno sdegno enorme per un processo che non si sarebbe mai dovuto fare. Ho solo voglia di silenzio».
Assolto dopo un calvario lunghissimo. Ci credeva?
«Si, non ho mai dubitato, ne sono sempre stato convinto. Oggi che è stata scritta la parola fine finalmente posso dire che è stato un processo ingiusto. È stata una prova estenuante, dura. Mi ha sorretto solo la coscienza che nessuna delle accuse mosse dalla procura di Palermo avesse il benché minimo fondamento. Ora che tutto è finito credo che sia una vicenda su cui riflettere con pacatezza, senza pregiudiziali. Perché la mia vicenda, secondo me, concretizza tutto il repertorio dei problemi della giustizia italiana».
A cominciare dai tempi. Sedici anni per arrivare a un giudizio definitivo...
«Certo, a cominciare dai tempi. Ma l’eccessiva lunghezza dei processi, come il mio, è un problema conseguenziale alle regole e all’uso che di queste regole fa la pubblica accusa. Eduardo De Filippo diceva “gli esami non finiscono mai”: ecco, in Italia anche i processi non finiscono mai. Ma l’aspetto primario, per me e la mia famiglia, è che io per 16 anni sono stato privato del diritto alla vita. La mia vita è stata presa e posta sotto sequestro, come congelata».
Ingiustamente, dice oggi la Cassazione.
«Tutte le sentenze lo hanno sempre detto, ad eccezione della prima sentenza d’appello che però è stata stracciata dalla Suprema corte. Persino il Pg della Cassazione ha additato quella sentenza di condanna come un esempio in negativo. Non c’è una sola accusa che abbia retto alla prova dei fatti. Nulla, nulla di nulla».
Quando la sua vicenda giudiziaria è esplosa lei era all’apice della sua carriera politica. È stato tolto di mezzo per via giudiziaria?
«È un altro aspetto di quei problemi della giustizia di cui parlavo... Sì, purtroppo è così. Mi guardo bene dal pensare e dall’affermare che il politico non debba rispondere delle sue azioni. Ma il politico non è destinato ad un processo ingiusto. Come invece è accaduto a me».
Pensa di chiedere un risarcimento per i due anni - 23 mesi, nove in carcere e 13 agli arresti domiciliari - di carcerazione preventiva scontati?
«In questo momento non ci penso affatto. Penso solo che finalmente è finita».
Qual è la cosa che le ha dato maggiore amarezza?
«Ne ho subite tante, ma non voglio pensare, in questo momento, ai 16 anni che sono appena passati, ai tanti momenti terribili come l’arresto. Comunque, non ho nulla da recriminare. Ho solo da far constatare, affinché ingiustizia non si ripeta. E soprattutto perché, ora che è stata stabilita la verità, si rifletta su quanto accaduto e si guardi alla storia della Sicilia in modo diverso, Ma ne parleremo al momento opportuno».
Il calvario giudiziario l’ha tenuta per anni lontano dalla politica. Ma adesso ha ripreso la sua attività, è deputato. Che farà ora?
«Nessun progetto in grande. Guardo al mio presente, alla Camera con l’Udc, e al mio futuro. Continuerò a fare il viticoltore, e poi naturalmente il nonno. Ecco, guardo al presente e soprattutto alla mia nipotina, Vittoria, che ha 15 mesi».
Cosa le racconterà, quando sarà in grado di capire?
«Cercherò di raccontarle la mia storia. Non sarà semplice, spero di vivere abbastanza da riuscire a dirle io cosa è accaduto. Le dirò che il nonno è stato vittima di un processo ingiusto».
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