Il dissenso impaurito e incatenato tace. Il presidente Mahmoud Ahmadinejad canta vittoria. Gli inquisitori preparano la grande repressione. A Teheran, 19 giorni dopo il voto, tira aria di restaurazione. Il primo a rallegrarsene è Ahmadinejad, confermato presidente dal verdetto del Consiglio dei Guardiani che ha definitivamente spazzato via il sospetto di truffe elettorali.
«I complotti orditi dai nemici decisi a rovesciare il sistema sono stati sconfitti, le elezioni sono state un referendum per la Repubblica islamica», dichiara entusiasta il presidente parlando davanti ai membri del ministero dellintelligence. In quel ringraziamento cè tutta la baldanza del regime. Un regime già pronto a issare sulla forca o a sbattere in galera chi ha avuto lardire di contestare i brogli. A imporre la pena capitale e le altre durissime sanzioni - evocate durante la preghiera dello scorso venerdì dallayatollah Ahmad Khatami - ci penseranno i tribunali speciali. La designazione dei magistrati e la formazione delle corti è già stata ordinata dal capo del potere giudiziario ayatollah Mahmoud Hashemi Shahrudi, ora bisogna solo attendere processi e sentenze.
In questo clima anche Mir Hossein Moussavi sembra aver perso liniziativa. Minacciato, tenuto sotto pressione dai servizi di sicurezza, privato dei suoi collaboratori finiti in gran parte in carcere lex premier continua sostenere la necessità di un nuovo voto, ma sembra incapace di organizzare nuove significative proteste, anche se ieri per le strade di Teheran tra polizia e manifestanti si sarebbero verificati nuovi scontri. Secondo alcuni blogger, dieci persone sono state arrestate.
Così mentre lopposizione tira il fiato la comunità internazionale studia come mettere allangolo il regime. I più attivi sono gli inglesi. Accusati di aver fomentato la rivolta sono stati «puniti» con lespulsione di due diplomatici e larresto di cinque iraniani dipendenti dellambasciata. Ora meditano la rappresaglia.
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