Dalla manomissione alla omissione delle parole "sensibili"

Dalla censura, specie attraverso l'intimidazione e la violenza, fino all'autocensura in tre tappe fondamentali. Prima. La fatwa di Khomeini che condannava a morte Salman Rushdie nel 1987 per aver scritto I versi satanici. Seconda. I processi per istigazione al razzismo intentati a Michel Houellebecq e Oriana Fallaci nel 2002. Terza. La vicenda delle vignette danesi su Maometto, cominciata a Copenaghen nel 2005 e terminata a Parigi con la strage di Charlie Hebdo nel 2015. In questi anni abbiamo imparato la lezione, iniziando a censurarci da soli.

Mark Twain: Huckleberry Finn razzista per la parola «nigger» (negro) sostituita da «slave» (schiavo). Astrid Lindgren: Pippi Calzelunghe razzista per l'espressione «Re dei negri» sostituita da «re dei Mari del Sud». Repulisti anche per Roald Dahl (Charlie e la fabbrica di cioccolato, troppi pigmei), Michael Ende (Il mangiasogni, troppi negri), Christopher Marlowe (Tamerlano il grande, troppo Maometto), Agatha Christie (Dieci piccoli indiani, nell'edizione del 1939 si intitolava Dieci piccoli negri). Accuse di razzismo e/o sessismo sono piovute anche su Cormac McCarthy, Saul Bellow, Martin Amis, sir Vidia Naipaul. Per Joyce Carol Oates e altri scrittori, Charlie Hebdo non meritava il Pen (alla memoria) perché la rivista giocava con stereotipi islamofobi. Ma anche Joyce Carol Oates ha ricevuto la stessa accusa per un tweet: «Dove l'abuso sessuale e lo stupro è epidemico - Egitto - viene naturale domandarsi: qual è la religione dominante». Eric Zemmour ha invece perso il posto in tv per aver detto che l'immigrazione di massa è una forma di contro-colonialismo.

Il «capolavoro» degli ultimi mesi però è stato segnalato da Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera: i redattori della casa editrice Flammarion, seguiti a ruota da quelli di Bompiani, sono riusciti a riassumere, nella quarta di copertina, il romanzo Sottomissione di Michel Houellebecq senza nominare, neppure di straforo, l'islam. Un salto di qualità: dalla manomissione alla omissione delle parole.

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