Carla Valentino
Come possiamo prenderci cura dei libri che formano la nostra grande o piccola biblioteca domestica? Ce lo spiega Alice Ferroni, restauratrice di opere su carta (con laboratorio a Genova, in via E. Ravasco 4/1), nell'incontro del mercoledì, organizzato dall'Associazione Amici dell'Arte e dei Musei Liguri a Palazzo Ducale, presso la Società di Letture Scientifiche, su «La conservazione dei manufatti in carta (libri, disegni, stampe)».
Bastano, dice la signora Ferroni, poche norme base sulle condizioni ambientali in cui teniamo i libri: la luce, l'umidità, la polvere. Prevenire, infatti, è sempre meglio che dover correre ai ripari in seguito. Vediamo dunque gli accorgimenti da adottare.
Le opere su carta vanno protette dalla luce, naturale e artificiale: possono infatti provocare danni sia la componente visibile sia quelle invisibili, cioè i raggi ultravioletti (dannosi anche per la nostra pelle) e i raggi infrarossi (che producono calore). Il risultato è la foto-ossidazione della cellulosa, che comporta il tipico imbrunimento della carta, mentre l'inchiostro sbiadisce. Evitiamo perciò di esporre i libri alla luce solare diretta e teniamoli a debita distanza da ogni altra fonte di radiazione luminosa (nei musei la massima radiazione consentita è di 50 Lux).
L'umidità si considera ideale tra il 55 e il 65 per cento. Se troppo elevata, favorisce - come gli sbalzi termici - le condizioni ideali per la crescita di microrganismi fungini nel substrato cellulosico della carta. In superficie compaiono allora quelle macchioline bruno-rossastre, tondeggianti, che a tutti noi è probabilmente capitato di notare talvolta sulle pagine: un fenomeno che gli addetti ai lavori chiamano «foxing», dall'inglese «fox», volpe, proprio perché richiama il colore tipico della pelliccia dell'animale. Per ridurre l'eccesso di umidità possiamo ricorrere ai deumidificatori. Senza dimenticare, però, che i volumi rilegati in pergamena o in pelle risentono negativamente degli ambienti troppo asciutti.
Per prevenire i danni causati dalla polvere, la restauratrice ci ricorda che è importante spolverare regolarmente i libri con un pennello oppure con l'aspirapolvere dotato di appositi beccucci e piccole spazzole per la pulizia minuta. La polvere, infatti, non solo fa ingrigire la carta ma è apportatrice di spore da cui possono svilupparsi le infestazioni fungine. Una volta all'anno bisogna fare come nelle biblioteche: rimuovere i volumi, spolverarli singolarmente, e rimetterli a posto dopo aver pulito a fondo anche gli scaffali che li ospitano.
Meglio conservare i libri in mobili aperti o chiusi? Entrambe le alternative presentano dei pro e dei contro. La libreria aperta non fa mancare l'aerazione ma consente alla polvere di entrare e depositarsi sui tagli superiori dei volumi, con le conseguenze che abbiamo visto. L'unico rimedio è spolverare. La vetrina chiusa porta invece alla formazione di un microclima al suo interno: se l'umidità è corretta e l'ambiente sano, va tutto bene. Se invece l'umidità sale, il microclima diventa dannoso per la conservazione dei libri.
Ma quando il danno si è ormai prodotto, che cosa può fare il restauratore?
Per eliminare l'imbrunimento della carta dovuto a foto-ossidazione si ottengono ottimi risultati in laboratorio con prelavaggio in bagni di acqua e alcool, seguito da lavaggio in bagni di deacidificazione (il trattamento risulta però controindicato in presenza di molti degli inchiostri usati per secoli nei manoscritti che riempiono gli archivi dei paesi occidentali; per questi casi è allo studio un tipo di lavaggio che impiega, come solvente, alcool al posto dell'acqua).
Le macchie di «foxing» richiedono, oltre al lavaggio di deacidificazione, anche un trattamento con sbiancanti: l'infestazione si deve ad un agente fungino che si è sviluppato solo fino a creare alterazioni chimiche sulla carta, senza giungere alla fruttificazione. Gli enzimi prodotti da vere e proprie muffe sono invece più tenaci e più difficili da trattare.
Alice Ferroni osserva che il degrado del substrato cellulosico è legato all'epoca di fabbricazione. La carta più antica, in pura cellulosa ricavata dagli stracci, resta la migliore (i volumi del Seicento e del Settecento sono spesso giunti fino a noi in ottimo stato), mentre presentano più problemi quelle moderne, del Novecento ma soprattutto dell'Ottocento. Perché? A partire dalla fine del XVIII secolo, con lo sviluppo dell'editoria e la maggiore diffusione dei giornali, l'industria deve aggiornare le proprie tecniche per ottenere rapidamente quantitativi di carta adeguati a soddisfare la maggiore richiesta. Intorno al 1830 si incomincia a produrla manipolando la polpa del legno: la presenza della legnina (sostanza incrostante della cellulosa), che si degrada facilmente, si rivelerà nel tempo fonte di problemi. La carta di questo tipo, infatti, si presenta oggi brunita, fragile e così difficile da trattare che i restauratori chiamano l'Ottocento «il secolo nero della carta».
Al laboratorio conviene rivolgersi per un consiglio se sui libri si scoprono piccoli parassiti animali: attratti dalle colle presenti nei dorsi, possono formare nidi pieni di larve pronte a continuare il ciclo vitale.
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