Manuale molto pratico per scrittori di successo

Ho una passione insana per quei libri che promettono di insegnare come si scrive agli aspiranti romanzieri. Purtroppo, la maggior parte ricicla frusti consigli come il classico «sfrondate gli aggettivi». Di solito, comunque, sono letture consolanti, perché presuppongono un mondo meraviglioso dove conta solo l’estro, l’ispirazione, un duro lavoro e un’applicazione da artigiano. Il terreno su cui voi, aspiranti scrittori, dovrete muovervi è purtroppo molto più opaco e limaccioso. È un mestiere, quello che avete scelto, per stomaci forti, e per esperienza personale voglio dirvi che le sue regole auree sono custodite come i misteri eleusini. Ora, io, qui, per vostra fortuna, sono pronto a svelarvele. Si tratta in realtà di cinque pratici consigli.
1) Siate seri. Omero avrebbe potuto essere il precursore della commedia con il Margite così come l’Iliade e l’Odissea formarono il genere tragico. Purtroppo del Margite sappiamo solo che era un poemetto comico di cui abbiamo solo pochi accenni indiretti. Platone racconta che il protagonista «sapeva tante cose, ma tutte male» e che era un buffone, un ciarlatano e un uomo maldestro. Il dio della letteratura ha deciso che Omero dovesse diventare il padre della tragedia e condannò il riso ad ascendenze più modeste. Trenta secoli dopo, qui da noi in Italia, tutti i libri che puzzano di commedia e che fanno ridere sono guardati con sospetto. Molti dei nostri critici letterari assomigliano al monaco bibliotecario de Il nome della rosa, quel Jorge de Burgos che avvelena le pagine del secondo libro della Poetica di Aristotele, dedicato alla commedia e al riso, perché potrebbe insegnare che «liberarsi della paura del diavolo è sapienza».
2) Non siate tragici. Se la commedia è da evitare, è comunque consigliabile eludere pure il ricorso alla tragedia. In questo genere letterario due antagonisti si affrontano, ciascuno spinto da una propria verità parziale per la quale è pronto a sacrificare la propria vita e soprattutto a sacrificare quella dell’avversario per vederla trionfare. Nessuno dei due è dunque colpevole. Secondo Milan Kundera, «liberare i grandi conflitti umani dalla semplicistica interpretazione che li riconduce alla lotta fra il bene e il male» è stata un’immensa impresa dello spirito. «Ma la vitalità del manicheismo morale è invincibile». Secondo i campioni del politicamente corretto, la storia va vissuta come una lotta tra i giusti e i colpevoli, quindi il consiglio è: state dalla parte dei buoni, oppure, ancor meglio ergetevi ad autorità avide di castigo.
3) Inventate personaggi che campano d’aria. In Italia, quando si vuole offendere uno scrittore basta dirgli che scrive «romanzi altoborghesi». E infatti lo scrittore avveduto - quest’animale vanitoso e sensibile - fa di tutto per prevenire questa iattura, mettendo in scena i personaggi più disparati, serial killer, registi in crisi, amanti disperati, clochard, tagliaboschi, rivoluzionari, che hanno tutti un comune denominatore: non è dato sapere di cosa vivano. I soldi, si sa, puzzano, ed è così volgare parlarne! E a nulla vale obiettare che servono, eccome, e che di solito sono il movente principale dell’amore e dell’odio, della felicità e del delitto; insomma della commedia e della tragedia. Visto che né la commedia né la tragedia sono permessi, zac!, vuotate i portafogli dei vostri personaggi e dimenticatevi dell’Avaro, del Mercante di Venezia e dei Buddenbrook.
4) Fate finta di campare d’aria pure voi. C’è comunque una sciagura peggiore per uno scrittore d’essere definito uno che scrive romanzi altoborghesi: ed è quella d’essere definito uno scrittore altoborghese. Anzi, un altoborghese tout-court, perché l’appellativo di «scrittore» automaticamente non te lo meriti più. Qualche tempo fa ho letto un’intervista a Laura Morante dove l’attrice confessava di vergognarsi di abitare ai Parioli, il «quartiere alto» di Roma. Si dà il caso che ci viva anch’io. E quindi posso dirvi che la Morante la capisco benissimo. Le prime volte che iniziai a frequentare gli ambienti letterari e mi chiedevano «dove abiti?», alla mia risposta molte labbra si rattrappivano. Così ho imparato a dire un più generico «vicino all’Auditorium», sperando che facesse più chic.
5) Non partecipate a pubblici dibattiti. A meno che voi siate la reincarnazione di Zola o di Sartre, sarebbe del tutto irragionevole da parte vostra presupporre che siccome avete scritto un libro possiate avere un’idea originale o significativa sull’arte o sulla vita. Ne consegue che qualsiasi cosa voi pensiate su un qualsiasi argomento è meglio che ve lo teniate per voi. Aborrite dunque ogni pubblico dibattito, e soprattutto state lontani dalle pagine dei giornali. Frotte di intellettuali sideralmente più acuti di voi sono pronti a farvi a pezzi; e un numero almeno eguale di idioti non saranno di certo più teneri.

Se per questo vi sentirete di rinunciare a malincuore a un pensiero riuscito su una qualche questione, ricordatevi che di prassi né agli acuti intellettuali né agli idioti assetati di sangue della «questione» importa alcunché.
Ecco svelate le cinque regole auree per riuscire nel difficile campo della letteratura. Arrangiatevi con ciò che rimane.

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