Mario Camicia
Dieci anni fa - era il 1995 - Michael Campbell, emergente giocatore neozelandese di stirpe maori, partiva per lultimo giro dellOpen Championship a St.Andrews in testa alla classifica con due colpi di vantaggio sul nostro Costantino Rocca. A 26 anni, ritrovarsi nel tempio del golf con la gloria imperitura a portata di mano può mandare nel pallone anche il più tenace dei giovani campioni.
Dieci anni dopo, quello stesso tenace maori - scartato dal rugby per mancanza di fisico - scoppiava in lacrime sulla spalla del suo caddy dopo aver imbucato lultimo putt che lo coronava campione Open degli Stati Uniti. Subito dopo aver firmato il suo score si ripresentava davanti alle telecamere stringendo tra le mani la coppa dargento - in quel momento ben più importante e significativa del milione e 170mila dollari del primo premio - chiamandola amorevolmente «la mia piccola bambola»: una bambola con sopra iscritti i nomi dei più grandi campioni di ogni tempo, ultimo dei quali il campione uscente Retief Goosen. Un campione uscente che dopo tre giorni di gara sui micidiali green dello splendido percorso del Pinehurst n° 2 nel North Carolina, sembrava non pensarci proprio ad essere... uscente, tanto da essere al comando con tre colpi di vantaggio su due outsider - nemmeno di lusso - come Olin Browne e il simpatico pacioccone Jason Gore, diventato in tre giorni il beniamino del pubblico del 105° Us Open. Gli eventuali pericoli per Goosen potevano venire da David Toms e Tiger Woods, distaccati però rispettivamente di 5 e 6 colpi, con Singh in ritardo di 7 colpi e i coetanei Garcia e Scott addirittura di 8. Chi avrebbe scommesso contro il compassato, e allapparenza gelido, Goosen, già due volte vincitore di questo torneo negli ultimi quattro anni? Forse solo Tom e Maria, i genitori di Campbell che partiva in ottima quarta posizione, ma con pur sempre quattro colpi dal numero cinque al mondo. Ha vinto - e di certo con pieno merito - chi ha sbagliato di meno, chi è stato graziato dai rimbalzi dei green che mandavano le palline ovunque, ma quasi mai dove i giocatori volevano. Goosen, certamente meno gelido delle apparenze, sentiva la gara più che mai con in vista una terza vittoria da libri di storia. Partiva disastrosamente con un doppio bogey e un bogey sulle prime tre buche per poi non riprendersi più e chiudere con un disastroso 81! I due outsider andavano subito nel pallone, come da copione. Vijai Singh tentava la carica, si riportava nelle prime posizioni, poi anche per lui i green tornavano ad essere un calvario. David Toms mollava quasi subito; Garcia «toreava» impavido ed estroso come sempre ma non andava alla fine oltre un terzo posto insieme al sudafricano Clark e allaustraliano Hensby. Del crollo di Goosen approfittava proprio Michael Campbell che sbagliava meno degli altri e soprattutto manteneva la calma, senza aggredire il campo - che lo avrebbe respinto - e trovando così alcuni colpi ispirati che lo portavano al comando al giro di boa. Tiger Woods, dal canto suo, dopo aver giocato per tre giorni uno dei suoi golf più incisivi da tee a green continuava a farlo, ma con maggiore aggressività sui green che lo avevano visto perdente nelle prime 54 buche. Un risveglio tardivo che ha tenuto in bilico il risultato sino alle ultimissime buche quando Tiger concedeva il bogey alla 16 e alla 17 e nulla poteva il birdie finale alla 18 contro un Campbell che si presentava sullultima buca con tre colpi di vantaggio permettendosi il lusso di sbagliare da poco più di un metro il putt per il par finale.
Michael Campbell, il giovane kiwi di dieci anni fa a St.Andrews è ora lo sportivo più famoso della Nuova Zelanda - alla faccia del rugby che lo scartò! -. Ora per lui si sono aperte le porte del paradiso e molto probabilmente anche quelle del miliardario Tour americano.
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