Cultura e Spettacoli

MARÍAS Su e giù per la scala del tempo

La seconda parte della trilogia «Il tuo volto domani» scava negli interstizi dell’immaginario

MARÍAS Su e giù per la scala del tempo

Il titolo di Ballo e sogno (Einaudi, pagg. 326, euro 19, trad. Glauco Felici), seconda parte della trilogia Il tuo volto domani di Javier Marías, potrebbe sembrare evasivo e persino banale, ma il tema del libro è al centro della storia, o non-storia, come sempre accade nei romanzi di Marías. Leggiamo a metà del volume: «un altro secondo, il sogno, e ancora un po’, per il ballo... il sogno, e ancora un po’ di più, per l’ultimo ballo»; il motivo cioè attraversa la vicenda narrata occupando lo scenario di un’assordante discoteca, dove avviene il dialogo tra l’avvenente giovane collega, Pérez Nuix, e il protagonista Jaime.
Ricordiamo che il primo libro si chiudeva con la donna che, in una notte burrascosa, bussava alla porta dell’appartamento di Jaime chiedendo urgentemente di potergli parlare; ora, in Ballo e sogno, il lettore deve attendere numerose pagine prima di assistere all’incontro tra l’uomo e Pérez Nuix, venuta a chiedere all’amico «un grande favore». Il racconto, ambientato a Londra e nel mondo accademico di Oxford, a lungo frequentato dallo scrittore, ma con continui rinvii alla realtà della Spagna, illustra misteriose vicende di intrighi e spionaggi che toccano vari momenti della storia del passato: la guerra civile, il secondo conflitto bellico e il periodo della colonizzazione britannica. Tra le varie figure che popolano il romanzo non mancano una sospetta coppia di italiani, di cui si registrano i giochi di parole della nostra lingua, e alcuni personaggi già conosciuti, come Beryl Tupra, capufficio di Jaime, e lo strampalato addetto dell’Ambasciata spagnola. Ma il narratore, come accade in tutte le opere di Marías, più che raccontare la trama, indugia nell’analisi della storia interiore del protagonista, diluendo l’azione con mille digressioni e continui ribaltamenti dei piani temporali.
Una ricerca affannosa di conoscenza che, nelle varie ipotesi contemplate dalla storia, giunge al paradosso del silenzio, come ha bene osservato Claudio Magris in una recente intervista all’autore, affermando che per Marías la salvezza consiste, oltre che nel raccontare la vita, anche nel tacerla, nel «lasciare semplicemente che le cose passino». Da qui le fitte riflessioni che scavano negli interstizi dell’immaginazione, ipotecando un mondo infinito di possibilità che amplia in molte pagine i pochi eventi del romanzo. Da parte del protagonista-autore c’è una predilezione a deviare, a rallentare l’azione, accogliendo ed esaminando tutte le incredibili coincidenze e dissonanze che il fatto comprende. Siamo di fronte a una specie di sospensione del tempo reale a vantaggio di quello mentale, volto a scavare nella trama misteriosa della realtà, ad annullare le distanze del passato attraverso una memoria retrospettiva che riconduce all’attualità. A volte basta un segno esterno, una lieve macchia di sangue lasciata da una donna in una toilette per signore, per scatenare una ridda di supposizioni che offrono al lettore innumerevoli e differite versioni che sollevano un muro sempre più denso di ipotesi e mistero.
Insomma il romanzo non consiste nel racconto, bensì nella sua storia ritardata, vissuta attraverso la nostra mente, capace di coniugare le infinite soluzioni rifiutate dalla vita reale. «In Ballo e sogno - confessa lo scrittore - c’è un esempio forse eccessivo di questo: qualcuno alza una spada per decapitare un altro e prima di sapere se lo decapita o no passano decine di pagine. Ma vorrei che il lettore si interessasse anche a quello che si racconta in queste pagine “ritardanti”, accettando di buon grado la dilazione e la sua iniziale impazienza».
Il libro si chiude con un nuovo interrogativo che rinvia all’ultima parte della trilogia.

Il lettore è avvertito: è inutile attendersi sic et simpliciter la soluzione della storia, occorre accostarsi al romanzo di Marías come a uno spazio aperto dove il racconto è solo un pretesto per guardare dentro e fuori di noi.

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