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Il marchio di Expo? Dev’essere il progetto dei corsi d’acqua

C’è un fatto certamente curioso: ora che nel dibattito sull'Expo si sta cercando la strada che con un colpo di genio permetta, soprassedendo a spese folli che il Paese non può permettersi, di trovare un'idea e un format, che possa fare da grande attrazione a una manifestazione che rischia un successo limitato, si scopre che questo avvenimento «chiave» era già nella mente degli organizzatori: le vie d'acqua. Di tutto quanto si è pensato: dalla sistemazione dei padiglioni (non aspettiamoci qui grandi idee da nessun Paese) alla Fiera, monumento ricordato solo per la bizzarra copertura in vetro, dalla banalissima torre-emblema alle rete dei trasporti a quella autostradale, poteva questa delle vie d'acqua essere la vera attrazione che si va ora cercando di trovare. Il bello che in effetti era dichiaratamente uno degli obiettivi primari: un percorso acquatico di venti chilometri che avrebbe abbracciato un'area di 800 ettari tra parchi, zone urbane confinanti con il verde e aree agricole, dalla Darsena fino all'area dell'esposizione. Una realizzazione spettacolare, perché sarebbe giustamente stata la più grande area verde e d'acqua del mondo, superando parchi come quelli di Londra, New York, Berlino. Il percorso sarebbe stato quello di correre lungo il Naviglio Grande, piegando poi verso Baggio, Quinto Romano, Figino, e arrivo all'area destinata. Con tanti saluti alla serie di grattacieli, belli o brutti, con i quali Milano non sarà certo più suggestiva di New York o Shanghai ( dove in un anno ne sono stati costruiti 750), o altre decine e decine di città del mondo.

Così anche costruendo un buon numero di ipotetiche linee metropolitane, il cui numero fa sorridere facendo riferimento anche solo a Parigi, non avremmo certo stupito il visitatore. A meno che, prima di cercare l'Expo, parchi e strade sopra o sotto terra, non si fosse già deciso di realizzarli a breve termine.

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