Marchiondi invaso dai nomadi In Svizzera diventa una mostra

Il degrado di Milano, nella linda Svizzera, è materia da mostra. Ha appena aperto i battenti a Mendrisio, all’Accademia di architettura dell’Università della Svizzera italiana, un’esposizione interamente dedicata al capolavoro dello stile Neobrutalista: l’istituto Marchiondi Spagliardi firmato da Vittoriano Viganò, realizzato tra il 1954 e il 1958. Esatto, proprio quel complesso di sette edifici in cemento armato nel cuore di Baggio, attualmente occupati da decine di famiglie rom, e ridotti a un cumulo di macerie su una discarica a cielo aperto.
Un passo indietro. Qualche settimana fa gli studenti dell’ateneo elvetico, guidati dal professor Franz Graf, organizzano una trasferta in città per ammirare dal vivo l’opera il cui plastico è conservato niente meno che al Mo.Ma di New York. C’è un problema, però: gli ospiti non possono nemmeno avvicinarsi alla rete di protezione, minacciati dai nuovi «inquilini». Non è consigliabile a nessuno addentrarsi nei cortili o su per le scale del Marchiondi, senza una vera e propria scorta a proteggere le spalle. Perciò arrivano i «ghisa» ad accompagnare allievi e maestri nel caratteristico tour. Molto, molto istruttivo. Con loro c’è anche il fotografo Enrico Cano, che tra carcasse di elettrodomestici e falò di copertoni scatta oltre 200 immagini. «Campagna fotografica» anche questa in esposizione alla Galleria dell’Accademia. Recita la didascalia: «La sezione permette al visitatore (...) di vedere lo stato del costruito e al tempo stesso vedere oltre il degrado, sottolineandone tutte le qualità».
Sarà. Il fatto è che il gioiello «brutalista», vincolato dalla Soprintendenza ai Beni architettonici, versa da 23 anni almeno in uno stato di totale abbandono, gli sgomberi recenti hanno solo cambiato la tipologia degli occupanti (abusivi). Dai barboni ai tossici, dai pusher magrebini ai romeni appena allontanati dalla Bovisasca. Vale la constatazione del docente: «I ragazzi, al termine del sopralluogo, avevano lo stomaco rivoltato. Compiere uno sfascio simile è un atto criminale». E la conclusione: «Oggi chi vuole vedere il Marchiondi deve venire in Svizzera, perché a Baggio non è più possibile».
L’evento a Mendrisio durerà fino al 29 giugno, attraverso «una lettura critica» della creazione del Viganò curata da Graf e Bruno Reichlin e lanciata da Letizia Tedeschi e Mario Botta, direttrice e presidente dell’Archivio del Moderno presso l’Accademia di architettura. Qui torneranno alla luce - anche in formato digitale - più di 400 documenti e disegni inediti provenienti dalla famiglia dell’architetto milanese scomparso nel 1996, dall’archivio del Comune e del Politecnico, così da seguire l’evoluzione del progetto in ogni sua fase dall’ideazione all’edificazione. Giovedì sera, alla presentazione della mostra, c’è stato l’intervento di Kenneth Frampton, docente alla Columbia University e critico militante specializzato nel movimento di cui Viganò è stato interprete di livello internazionale, ma soprattutto ha visto la partecipazione delle figlie del maestro, gli architetti Viviana e Vanessa Viganò, che in passato avevano ricevuto l’incarico da Palazzo Marino per una proposta di riuso del Marchiondi. Massimo Fortis, direttore del dipartimento di Progettazione dell’architettura al politecnico di Milano, ha illustrato per la prima volta al pubblico il nuovo piano di riqualificazione dell’istituto, che sarà destinato ad alloggi studenteschi.

Gli esperti si augurano «nel rispetto della vocazione naturale del luogo e della composizione architettonica originale». Pensano la stessa cosa, forse, gli abitanti di Baggio che giorno dopo giorno assistono impotenti alla demolizione del «gigante grigio» per mano dei rom.

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