nostro inviato a Torino
Laffondo di Sergio Marchionne è diretto ai politici, ai sindacati e ad alcuni imprenditori, impegnati «in un continuo tiro al bersaglio» sul gruppo Fiat. Quando prende la parola allavvio dellassemblea degli azionisti, dopo lintervento del presidente Luca di Montezemolo, lamministratore delegato del Lingotto parte subito allattacco. E la sua requisitoria - a commento delle polemiche sulla decisione di dire addio a Termini Imerese e sulle presunte intenzioni di prevedere 5mila tagli nel nuovo piano industriale, e più in generale sullo scetticismo che accompagna lo sviluppo dellazienda - salva solo la stampa («i giornalisti fanno il loro lavoro, anche se non conosco il piano di cui ho letto»). Il messaggio che il top manager manda ai sindacati, a pochi giorni dal tavolo su Pomigliano dArco, è chiaro: «Li invito a fare la loro parte senza creare ulteriori problemi». In gioco, fa capire Marchionne, cè il futuro di quello che «diventerà il secondo impianto Fiat in Italia. Per il rilancio di questa fabbrica, che nel 2009 ha prodotto solo 36mila veicoli a fronte di una capacità di 240mila unità - ha ricordato - sono stati investiti 100 milioni e ora Pomigliano si prepara ad accogliere la nuova Panda, il modello più venduto del gruppo». Ai sindacalisti italiani Marchionne ha portato lesempio americano, dove «le Union hanno aiutato a trovare una soluzione per Chrysler, anche se non è stato facile».
Sempre attenti a misurare le parole, per evitare interpretazioni a meno di un mese dalla presentazione del piano di sviluppo, prima Montezemolo e poi Marchionne si sono soffermati sul rapporto tra Fiat e lItalia. «Siamo un gruppo internazionale - hanno ribadito entrambi - con radici che sono e saranno in Italia; un gruppo - ha rimarcato Marchionne - che merita stima, rispetto e libertà, e non intende offrirsi al tiro al bersaglio di chi non ha compreso gli sforzi fatti per gestire lazienda in un momento di crisi senza creare allarme sociale». E come risposta alle critiche piovute in questi giorni, Marchionne ha ricordato come «a parlare sono gli stessi che fino a poco tempo fa ci rimproveravano di avere una dimensione troppo nazionale». Il volto del Lingotto, in pratica, grazie al colpo Chrysler e alla rete di alleanze nei Paesi emergenti, ora è quello di un grande gruppo internazionale, e linternazionalizzazione rappresenta un elemento di forza su cui insistere. «Tutte le operazioni nel mondo - la rassicurazione di Marchionne - sono fatte pensando allItalia a cui destineremo i due terzi degli investimenti preventivati. Siamo andati allestero per rendere questa azienda più forte, non abbiamo spostato il baricentro ma allargato la base operativa». Nel ribadire gli obiettivi del 2010 (50 miliardi di ricavi, gestione ordinaria tra 1,1 e 1,2 miliardi, risultato netto prossimo al break even, indebitamento netto industriale superiore a 5 miliardi) e le preoccupazioni sul fronte auto, (si stima un calo del mercato in Europa del 15%), Marchionne ha confermato laumento della produzione di vetture in Italia da 650mila a 900mila che sarà spalmato su tutti gli impianti, a eccezione di Termini. E qui la nuova stoccata, dopo aver ricordato «di non aver licenziato nessuno neppure nellanno della crisi»: «Quanto alla Sicilia, vi abbiamo investito 802 milioni, ne abbiamo ricevuti 93 come contributi a fondo perduto e 164 come prestiti, restituiti con gli interessi».
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