Ieri Sergio Marchionne è andato su tutte le furie. A farlo uscire dai gangheri le indiscrezioni pubblicate da Repubblica sul piano industriale che l’amministratore delegato del gruppo Fiat presenterà il 21 aprile. Anticipazioni in chiave negativa per i già delicati rapporti sindacali del Lingotto (5mila tagli a fronte di una produzione italiana incrementata del 50%, drastica riduzione del numero dei modelli: dagli attuali 12 a 8) che, tra l’altro, escono alla vigilia della tornata elettorale dove, proprio in Piemonte (si ipotizzano 2.000-2.500 tagli a Mirafiori), si disputa una delle battaglie più interessanti. Marchionne, comunque, l’ha presa male: «Tagli? Smentisco tutto. Non è il nostro piano, stiamo ancora lavorando. È la crisi più profonda che abbiamo visto in Europa e noi non abbiamo licenziato nessuno. Cercare di picchiare la Fiat in un momento come questo è la cosa più sproporzionata che abbia mai visto, è quasi vergognoso». A Marchionne ha fatto eco il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, il quale ha definito «inquietanti» e capaci di suscitare «allarme sociale», le notizie pubblicate. «Il governo - ha aggiunto - proseguirà con fermezza nel dialogo con le parti, lungo la linea tenuta a difesa di un legittimo interesse nazionale a tutela prioritaria dei siti produttivi e dei posti di lavoro in Italia». Non sono mancate le reazioni sindacali: «Voglio stare alle dichiarazioni che ha fatto Marchionne - ha commentato Luigi Angeletti (Uil) - ma resta il fatto che il Lingotto dovrà dare risposte concrete che ci consentano di capire se vorrà continuare a essere, come dice, la principale azienda italiana o se intende separare i destini di Fiat da quelli dell’Italia. E questo sarà possibile farlo solo quando conteremo i miliardi che intenderà investire nel Paese».
Il clima, dunque, si arroventa a poche ore dall’assemblea degli azionisti dove i vertici del Lingotto, domani, saranno nuovamente sollecitati a fare chiarezza sul futuro degli impianti industriali nel Paese. A rallegrare gli ambienti torinesi, è stato solo il responso della Borsa: le indiscrezioni hanno infatti dato gas al titolo che ha chiuso la giornata con un +4,26 per cento.
Il dibattito sindacale, dopo una tregua sul fronte Termini Imerese, torna prepotentemente a occuparsi del settore automobilistico. «Ma - sostiene una sorta di maggioranza finora silenziosa: i concessionari e le case estere - ancora una volta a senso unico». Per Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federaicpa (concessionari), l’allarme lanciato dai produttori esteri che operano in Italia («15mila posti a rischio dal 2011 in assenza di una politica ad hoc sull’auto da parte del governo») non tiene conto delle oltre 30mila persone dell’indotto (autotrasportatori, autolavaggi, agenzie di pratiche automobilistiche, ecc.). «Tutti soggetti - afferma Pavan Bernacchi - che quasi mai godono di ammortizzatori sociali, visto che le aziende dove lavorano occupano in media meno di 50 addetti. Della sorte di questi dipendenti, 10 volte superiori a Termini Imerese, sembra che nessuna voglia interessarsi. Da aprile in poi, come preannunciato dall’Unrae, il mercato scenderà vertiginosamente: il 40% di ordini in meno si rifletterà pesantemente anche sulle immatricolazioni». Oggi, intanto, il vicepresidente di Fiat e numero uno di Exor. John Elkann, assumerà un importante incarico in Confindustria.
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