I due volti dell’Italia rispetto alla Nuova Fiat di Sergio Marchionne e John Elkann erano ben delineati ieri a Mirandola, cittadina del Modenese, catapultata sulla ribalta nazionale a causa della presenza, per ritirare un importante riconoscimento, dell’amministratore delegato del Lingotto. Ecco, allora, gli applausi delle 500 persone che hanno stipato il teatro-bomboniera del centro emiliano per assistere alla premiazione; e i fischi seguiti dagli insulti con cui alcune decine di contestatori armati di megafoni, striscioni ironici e bandiere rosse (tra le sigle l’immancabile Fiom, quindi l’Idv di Antonio Di Pietro, Pdci, il redivivo Pci, Rifondazione Comunista, Fgc, Sinistra e Libertà di Nichi Vendola). Si sono trovati riuniti, in un colpo solo, amore e odio per l’uomo che con i suoi metodi decisi e coraggiosi ha salvato la Fiat dal fallimento e il futuro di migliaia di famiglie.
A riconoscere a Marchionne «di aver portato, con alta professionalità e attraverso un’accorta gestione delle problematiche, la più grande azienda privata italiana ad assumere un ruolo di leadership mondiale», sono stati la Fondazione della Cassa di risparmio di Mirandola e la Banca Cr Firenze (Intesa Sanpaolo). Ad accusarlo, invece, di essere uno sfruttatore («Indesiderato», «È il simbolo dell’Italia alla rovescia», secondo i giovani comunisti) e di «riportare il Paese indietro di 30 anni» (frase made in Idv) l’altra Italia, quella del passo del gambero. E lui, il diretto interessato? «Quelle bandiere rosse là avanti non fanno bene a nessuno», ha liquidato la protesta Marchionne. Poi, una precisazione sull’assenza di Susanna Camusso, neo leader della Cgil, all’incontro con i segretari generali di Cisl (Raffaele Bonanni) e Uil (Luigi Angeletti) di mercoledì sera a Roma: «Il meeting è stato chiesto da loro - ha spiegato -; io ci sono andato e basta. Non mi posso arrabbiare perché gli altri non sono stati invitati. Alla Camusso ho fatto i complimenti per la nomina, ma non ho ricevuto alcuna richiesta di incontro». Marchionne se ne è tornato così a Torino con il suo «Pico della Mirandola» sotto braccio, ovvero la prestigiosa statuetta-premio intitolata all’omonimo umanista del ’500 nato nel paesino modenese, consegnatagli dal presidente della commissione Rainer Masera. Nelle undici cartelle del suo intervento, il top manager ha sintetizzato il suo punto di vista sull’Italia a due volti e due velocità, nonché sullo stato di avanzamanto del piano «Fabbrica Italia» alla luce del vertice di 24 ore prima con il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, e i leader di Cisl e Uil. «Tutti sogniamo un’Italia grande, forte - ha detto rivolto alla platea del Teatro Nuovo -, che sappia conquistarsi il giusto spazio sulla scena internazionale. Ma volere bene al Paese non significa esaltarlo a tutti i costi, senza merito; è ora di rimboccarsi le maniche, smettere di predicare e iniziare a lavorare sul serio. “Fabbrica Italia” è il nostro modo per rimboccarci le maniche e per cercare di risolvere i problemi». Tutti concetti rafforzati dalla stessa dichiarazione fatta a Romani: «Intendiamo rafforzare le nostre radici in Italia». Marchionne è quindi tornato a commentare le roventi polemiche seguite alle sue dichiarazioni sull’Italia («le attività nel Paese non danno un euro di utile alla Fiat»): «Non è mia abitudine alimentare i dibattiti. Non a caso è stata la prima volta in sette anni che ho accettato di partecipare a una trasmissione (quella di Fabio Fazio “Che tempo che fa”, su Raitre, ndr). L’ho fatto per difendere la bontà e la serietà del progetto, ma spiace constatare che il fiume di parole che ha fatto seguito si sia trasformato in un processo alle intenzioni».
E collegandosi al premio ricevuto: «Il compito straordinario che ci assegna Pico è di “esercitare la nostra libertà per dare forma e valore alla società del futuro”. In Fiat è una responsabilità che prendiamo molto seriamente».
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