Marchionne: «Su Termini non metto cerotti»

Oggi i rappresentanti sindacali della Fiat di Termini Imerese cercheranno di formare, con il ministero dello Sviluppo economico, una sorta di asse contro la volontà del gruppo Fiat di abbandonare la produzione di auto in Sicilia nel 2011. Occorre subito precisare, in proposito, che Sergio Marchionne, amministratore delegato del Lingotto, ha nuovamente fatto capire, con una serie di dichiarazioni rilasciate ieri a Torino, di non volerne sapere di innestare la retromarcia.
«Le situazioni riparate con i cerotti - ha affermato, riferendosi alla fabbrica nelle vicinanze di Palermo - non vanno bene. La Fiat è disposta a fare ciò che è necessario per Termini, ma chiede di tenere conto della realtà. Bisogna guardare i dati con razionalità e chiarezza di idee. Le scelte economiche che facciamo devono essere basate allo scopo di costruire un futuro che duri». Marchionne ha ben presente i timori dei 1.340 dipendenti dell’impianto e di quelli occupati nel poco indotto e, per questo, ricorda che «è cambiato il mondo intero» e che «quanto era alla base dei nostri investimenti in Sicilia è variato in modo strutturale». Tutti temi, questi, al centro del vertice di domani a Roma tra lo stesso top manager e il ministro Claudio Scajola: «Adesso facciamo l’incontro con il governo - ha aggiunto Marchionne - mettiamo le carte sul tavolo e ne parliamo. La Fiat ha sempre preso i suoi impegni in modo serio e socialmente responsabile, anche prima di me». Torino, dunque, è disponibile a discutere con le istituzioni che cosa fare per evitare contraccolpi all’occupazione e all’economia dell’area.
È proprio questo il nodo: nei giorni scorsi lo stesso ministro ha parlato di 400 milioni pronti per rilanciare Termini Imerese, 300 dei quali saranno erogati dalla Regione Sicilia, capitali che dovranno risolvere i problemi «delle diseconomie esterne e dalla carenza di infrastrutture, a cominciare dal porto, che obbliga l’azienda a spedire le auto da Catania». Sono gli stessi problemi e le stesse soluzioni paventate negli anni scorsi, quando forse si era ancora in tempo per intervenire concretamente. Ma si è fatto poco o nulla, nonostante le avvisaglie che su Termini Imerese prima o poi si sarebbe scatenata la bufera.
Marchionne respinge al mittente (i sindacati) anche le accuse di «avere troppo la testa negli Stati Uniti, in casa della Chrysler». «Le vicende americane - è la risposta del top manager - nulla hanno a che vedere con quelle italiane. Quello di Termini Imerese è un problema di cui abbiamo parlato nel 2004, e poi ancora nel 2005 e nel 2006. Dall’incontro con il ministro mi aspetto chiarezza, non ci sono segreti, ma solo una realtà numerica da analizzare».

Torino conferma intanto la presentazione al governo dell’aggiornamento dei piani produttivi entro dicembre. Nel 2010, successivamente al cda sull’ultima trimestrale 2009, Marchionne svelerà alla comunità finanziaria il volto del gruppo per i prossimi cinque anni.

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