Il marciapiede è mio e me lo gestisco io

Due racconti estremi, tra incidenti stradali e tumulazioni. Si aspetta una conferma dell’autore su temi meno scioccanti

Il marciapiede è mio e me lo gestisco io

Vi sono libri che obbligano ad abbandonare equazioni tanto scontate quanto ingiustificate. È questo il caso dell’ultimo lavoro (La morale face à l’économie, edito da Organisation) dell’economista Bertrand Lemennicier, uno tra gli studiosi liberali più originali e provocatori, in cui l’autore esamina il rapporto tra l’etica e la scienza economica con l’obiettivo di mostrare come la disciplina di Adam Smith illumini la riflessione morale, dal momento che rappresenta un esame razionale dell’azione umana e delle sue conseguenze.
Rigettando l’opinione di chi vede nell’economia una disciplina immorale (perché celebrerebbe il profitto) e anche quella di quanti credono che sia una scienza amorale (orientata ad un’analisi meramente tecnica, senza premesse valoriali), lo studioso francese riannoda il legame tra economia e filosofia pratica: e sottolinea come i presupposti della riflessione economica - dalla proprietà allo scambio - siano impensabili fuori da un quadro etico-giuridico. La proprietà esige il rigetto della violenza e il rispetto dell’altro, e lo stesso si può dire per l’ordine di mercato.
Il testo s’incarica soprattutto di evidenziare i contributi che l’economia può dare all’esame di alcuni tra i temi più controversi del dibattito contemporaneo. Ed è qui che Lemennicier fa esplodere autentici fuochi d’artificio, con analisi che difficilmente lasceranno indifferente il lettore.
D’altra parte, esaminato con le categorie correnti, il libro appare davvero inclassificabile. La proposta di liberalizzare il consumo della droga, ad esempio, può apparire vicina alla sensibilità «progressista» e «radicale». Ma che dire del capitolo in cui l’aborto è considerato l’illegittima attribuzione di un «diritto ad uccidere»? L’idea di autorizzare ogni discriminazione di mercato (i bar che non servono avventori di colore, ad esempio) turberà il bigottismo di sinistra e quella di permettere un libero commercio degli organi è destinata a disturbare i benpensanti di ogni colore, ma che dire a proposito della privatizzazione delle strade?
In realtà, il filo rosso che attraversa il volume è da rinvenire nella convinzione che, nell’ambito dei rapporti sociali, «il rispetto del diritto di proprietà su di sé è il criterio a partire dal quale si giudica del bene e del male», dato che «ogni atto che comporti la violazione del diritto di proprietà di un individuo su lui stesso o su ciò che egli ha acquisito giustamente è un atto ingiusto». È questa premessa che ci aiuta a comprendere come tale volume sfugga alle categorie in nome delle quali conservatori e progressisti spesso si contrappongono.
L’aborto è un omicidio perché non vi è modo di argomentare razionalmente che un feto non è un essere umano, e che l’espulsione dal grembo materno non comporti una condanna a morte: in tal modo la madre nega al feto il diritto alla proprietà di sé. Ma proprio per questo è illegittimo impedire che un individuo consumi o commerci cocaina ed altre sostanze stupefacenti. Non c’è quindi alcuna tensione tra le varie tesi, e si comprende anche perché il titolare di un locale possa decidere (a casa sua) se avere clienti italiani, africani o asiatici.
L’originalità del libro di Lemennicier sta nel fatto che, dopo aver affermato i principi cardine su cui si regge l’analisi economica (proprietà e autonomia negoziale), esso pone l’economia al servizio della riflessione etico-politica. Si vedano, ad esempio, le pagine sul mercato degli organi. Se io sono proprietario di me stesso, ho anche il diritto di vendere un rene nel caso abbia bisogno di soldi per salvare mia figlia e permetterle una costosa operazione chirurgica, ma anche - più banalmente - se desidero comprare un’automobile sportiva. Il principio base è che non siamo schiavi, né i nostri corpi sono proprietà dello Stato; ma è interessante vedere come l’autore sviluppi pure considerazioni tutte economiche che mostrano i benefici (assai tangibili) che deriverebbero dal permesso di sviluppare tale commercio.
Ugualmente caratteristiche sono le pagine sulle strade, strettamente collegate a quelle sulla droga, dato che il punto di partenza è la legittima resistenza di fronte alla liberalizzazione della droga espressa da chi teme di avere sotto casa ogni genere di spacciatori. Certamente si può rilevare come sia più facile che ciò avvenga ora (dato che i profitti di tale commercio illegale crollerebbero se la droga fosse libera), ma Lemennicier propone ugualmente che strade e marciapiedi siano dati in proprietà ai titolari delle abitazioni prospicienti, in modo che essi possano proibire ogni attività sgradita.
Tutta la riflessione gravita quindi verso una netta distinzione tra la libertà (quale controllo di sé e dei propri beni) e la democrazia (uno strumento del ceto politico per imporre la propria volontà e disporre dei diritti altrui). E in effetti, i regimi rappresentativi sono solo l’ultima evoluzione di quegli stati sovrani che da alcuni secoli negano ai singoli la facoltà di disporre di loro stessi e impediscono, in tal modo, di essere davvero liberi.


Tanto radicale quanto coerente, il libro di Lemennicier non è destinato ad incontrare il favore degli intellettuali (e specialmente di quelli europei), inclini ad accettare tutti i dogmi dello statalismo imperante. Ma può sicuramente rappresentare una lettura rinfrescante per quanti non hanno perso il gusto della libertà e il desiderio di approfondirne ragioni e implicazioni.

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