Marco Bellocchio, ciak sulle nevrosi della famiglia italiana

Al rappresentante anticonformista per eccellenza del cinema italiano, il piacentino di Bobbio Marco Bellocchio, attualmente nelle sale cinematografiche con la sua ultima pellicola «Vincere» presentata a Cannes, la Cineteca Italiana dedica la rassegna «La famiglia secondo Marco Bellocchio». Un tema scelto non certo a caso, visto che il regista emiliano in molti dei suoi lavori predilige questo universo particolare, declinando, secondo varie sfaccettature, la tematica delle logiche familiari; in particolare, quelle che si intrecciano con la vita pubblica, restandone inevitabilmente condizionate. In «Vincere», al di là della ricostruzione storica della vicenda che racconta la tormentata esistenza di Ida Dalser, amante di Benito Mussolini e madre di suo figlio Benito Albino, emerge prepotentemente la volontà della donna di opporsi all'abbandono, rivendicando così il suo stato di moglie e di madre. Nella pellicola «Nel nome del padre», che terrà a battesimo la rassegna questa sera alle 19 allo Spazio Oberdan, si evidenzia invece la forte laicità del cineasta italiano: protagonista della pellicola, datata 1972 ma ambientata nell’Italia di fine anni Cinquanta, è un giovane di buona famiglia che, dopo essere stato inserito in un collegio religioso, fatica ad adeguarsi ai dettami dell'istituzione, istigando lavoratori e studenti alla rivolta. Certo, l’epoca della produzione era quella della contestazione studentesca e non solo, e in un certo senso il lungometraggio di Bellocchio apre una finestra sulle cronache dell’imminente futuro. Alle 21.30 (replica domenica 21 alle 10.30) sarà la volta del recente «L'ora di religione - Il Sorriso di mia madre» (2002), con Sergio Castellitto, dove il protagonista Ernesto apprende con rabbia la notizia che la chiesa, sotto pressioni della famiglia, ha avviato il processo di beatificazione della madre, uccisa dall'altro figlio, rinchiuso in una clinica psichiatrica. Il microcosmo analizzato dal sapiente occhio registico, realista e inesorabile nella sua empietà, assume contorni ben più intimi e tragici ne «La Balia», in programma domani (ore 19), dove la moglie di uno psichiatra, faticando ad instaurare un rapporto con il figlio appena nato, decide di farlo accudire e allattare da una balia. Già dal suo primo, evocatissimo lungometraggio «I Pugni in tasca», (domenica 7 ore 19.15 e 21 ore 17), viene a galla la necessità del regista di esprimere la sua intenzione provocatoria nei confronti dei conflitti intestini - sempre presenti - del nucleo familiare; lo stesso Bellocchio al proposito dichiara: «Chi tiene i pugni in tasca si avvia inesorabilmente verso le conseguenze estreme della propria ignavia: quanto più i pugni sono rimasti stretti nell'angustia di una progressiva incapacità di azione, tanto più incontrollabile e fatale esploderà il desiderio di rivolta». Ecco come in una famiglia borghese composta da madre cieca e quattro figli di cui solo uno apparentemente normale, uno dei ragazzi malati deciderà di uccidere la madre poi il fratello deficiente fino a morire di crisi epilettica.

Ne «La Cina è vicina» del '67, Bellocchio discute del controverso rapporto tra un ragazzo e il uso professore (venerdì 19, ore 19 e giovedì 25, sempre alle 19), pellicola seguita (il 20 con replica il 26) da «Salto nel vuoto» e da «Il regista di matrimoni». «Sorelle» e «Vacanze in Val Trebbia» sono i lavori che chiudono la retrospettiva (il 21, dalle 21.30), sviscerando come una matrioska ancora nuove problematiche familiari (info: 02-77406300, www.cinetecamilano.it).

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