Marco, il primo italiano marito di un marito

«Per veder riconosciuto un diritto sono dovuto scappare dal mio Paese»

Lorenzo Amuso

da Londra

Si sarebbero augurati un minor chiasso mediatico: meno interviste e fotografie, più privacy. Uno avrebbe voluto vestire casual, ma alla fine il suo fidanzato lo ha convinto ad indossare un elegante completo scuro. Al momento del sì Marco si è commosso tradendo qualche lacrima, Alan ha saputo trattenere l'emozione. E soprattutto sognavano di celebrare il loro matrimonio in Italia, dove al contrario la loro unione non avrà alcun valore legale.
Tra le migliaia di coppie omosessuali che dallo scorso dicembre hanno approfittato dell'entrata in vigore in Gran Bretagna del Civil Partnership Act, ora c'è anche un italiano, Marco Canale, che ieri ha sposato il suo compagno Alan Webb. Una coincidenza fortuita la data delle loro nozze, il 30 aprile, lo stesso giorno in cui 17 anni fa Marco e Alan si sono conosciuti proprio a Londra, dove sono tornati per ufficializzare la loro unione. Anche nella giornata più felice, comunque, Marco non è riuscito a nascondere l'amarezza per essere stato costretto a «scappare all'estero» per vedersi riconosciuto un «diritto fondamentale». «L'idea di sposarci ci è venuta lo scorso giugno, quando in Inghilterra era ormai scontato che la legge sulla partnership sarebbe stata approvata - ha ricordato Canale, 45 anni, proprietario di una sauna e palestra per soli gay di Roma -. Io volevo sposarmi il 4 maggio, il giorno del mio compleanno, ma, combinazione, il municipio era libero il 30 aprile, l'anniversario del nostro fidanzamento».
Scontate, nella loro ovvietà, le ragioni che hanno convinto Marco al grande passo: «Dopo 17 anni di fidanzamento credo che il matrimonio sia il suggello naturale di qualsiasi unione. Ci vogliamo bene, ci amiamo e volevamo acquisire tutta una serie di diritti che in Italia ci sono negati». Diritti e doveri, come una qualsiasi coppia eterosessuale: «Non è stata una decisione improvvisata, ci abbiamo riflettuto a lungo. Ci sosterremo dal punto di vista morale, sociale, economico, e ci sopporteremo a vicenda. E dovremo pagare anche più tasse: non godremo più, ad esempio, del diritto di avere una prima casa ciascuno».
Semplice, e rapida, la procedura per la registrazione: nelle scorse settimane Marco e Alan si sono recati due volte al municipio di Chelsea per incontrare i funzionari del Comune. Accertato che non fossero già sposati, hanno firmato alcune auto-dichiarazioni, spostando la residenza nella capitale britannica. Dopo la cerimonia alla Brydon Suite dell'ufficio del registro di Chelsea, e le foto di rito davanti al municipio, il pranzo al Royal Garden Hotel, elegante ristorante al decimo piano di un albergo di Kensington. La giornata si è quindi conclusa con un'altra festa all'Isabella Plantation Garden, un giardino botanico di Richmond, nel sud ovest di Londra. Ora i neo-sposi sono in partenza per il viaggio di nozze, destinazione Las Vegas, i deserti e il Gran Kenyon dell'Arizona. «Sono al settimo cielo. Avrei preferito un evento meno pubblico, ma se la mia storia serve a sensibilizzare l'opinione pubblica, allora sono contento di aver aperto le porte anche alla stampa». Sposati in Gran Bretagna, due perfetti estranei in Italia: una contraddizione insostenibile, discriminatoria, denuncia Canale: «L'Italia è ancora distante anni luce dai bisogni civili della gente. Qui potremo sostenerci dal punto di vista economico e sociale, in Italia dinanzi alla legge restiamo due single.

Se mai mi dovesse capitare qualcosa, Alan resterebbe tagliato fuori. Ho parlato con due avvocati che si sono proposti di portare il caso alla Corte Europea. Vedremo». Per ora, intanto, è meglio pensare alla luna di miele.

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