Marco Travaglio è un fine dicitore, ma di volgarità

Caro Granzotto, anche quest’ultimo scorcio politico di tutto il sinistrume, con in testa la Repubblica, capostipite dell’intellighentia mediatica, mi ricorda un vecchio detto popolare che così recita: «il maiale sogna le ghiande». Senza ombra di disprezzo ma solo per evidenziare l’assoluta mancanza di fantasia e povertà intellettiva deprimente. Monotona. Non c’è da stare allegri e non c’è neppure bisogno di «turarsi il naso». Altroché. Che ne dice?
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Beh, no, non esageri, caro Giusti. Sulla povertà intellettiva siamo d’accordo, ma sulla fantasia no. Quella non fa difetto agli antiberlusconiani viscerali e questo nonostante si trovino sulla breccia, a menare il torrone, da una ventina d’anni. Lei non legge Il Fatto e fa bene, per cui vorrei riportarle un florilegio (subito registrato sul mio Calepino) di garbate lepidezze a firma della mente più lucida e tintinnante dell’antiberlusconismo «di corata», il mio amico Marco Travaglio. Il quale, la faccenda è di dominio pubblico perché ci tiene assai a farlo sapere, si dichiara discepolo di Montanelli. Il mio maestro, lo dice. Veda dunque lei, caro Giusti, di cogliere nello scritto di Travaglio il tocco elegante, garbatamente ironico e sempre signorile di Indro. Partiamo. «Si sono svolte in Sant’Ambrogio le esequie del sen. Romano Comincioli, compagno di classe e di altre belle cose di Silvio B., presente alla cerimonia. Funerale anomalo: le salme erano due, ma ne è stata tumulata una sola». «Alcuni suggerimenti che sgorgano dal cuore per un piano draconiano di austerità con tagli lineari, orizzontali ma anche verticali per non escludere Brunetta: eliminare i peli superflui, dunque Frattini e Alfano. Restituire, ove possibile, i prestiti d’uso ai legittimi proprietari: Cicchitto alla P2, Ferrara alla Cia, Quagliariello a Pera, Capezzone a Pannella, Apicella alla pizzeria Marechiaro, Dell’Utri a Cosa Nostra, Formigoni al suo stilista, Gasparri a Mel Brooks, la Santanché a chi se la piglia». Molto fine, niente da dire. Ma andiamo avanti: «Tagliare i rami secchi restituendo Brunetta a Biancaneve o all’Unione Venditori Gondolette P.za San Marco, la Carfagna a Davide Mengacci o alla Calendari Camionisti Production, Giovanardi e la Gelmini all’Intelligence. Cedere Pato. O, se proprio insiste, lo paga Barbara. Ridurre le permanenti a Veneziani, i colpi di sole a Del Noce e le mèches a Facci. Eliminare i doppioni: se hai già Feltri, a che ti serve Sallusti? Se hai già Ostellino, a che ti serve Signorini? Se hai già il Giornale, a che ti serve Libero (e viceversa)? Se hai il Foglio, a che ti serve il Foglio?».
Gran finale: «Razionalizzare lifting (max 1 l’anno), trapianti piliferi e penieni (1 al mese), catramatura parietale (1 a settimana). Nano real estate: cinque ville al mare sono più che sufficienti, vendere o affittare le altre 95. Subaffittare loculi eccedenti mausoleo Arcore. Avvertire i fornitori di gnocca di alleggerire i cargo per villa S. Martino: non più 30 ragazze, ma 10 posson bastare, evitando però le gemelle se no sembrano 9». E allora, caro Giusti, cosa ne dice? Sì, Travaglio insiste un po’ troppo nell’irridere i difetti fisici, che è una cosa un tantino indegna per un virtuista politicamente corretto come lui, però lo ammetta: la fantasia non gli manca.

Sarà per questo che gli sta tanto a cuore Ciancimino il Giovine: perché nella facoltà di immaginare cose non corrispondenti alla realtà (balle, in gergo) o irreali, nella pratica del vilipendio e della perfidia i due sono fratelli germani. Sa come si dice, no? Dio li fa e poi li accoppia.
Paolo Granzotto

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