Gianandrea Zagato
I voti veri non mutano lo stato danimo dei massimi dirigenti della Margherita. Quel 7,6 per cento (Senato) raccattato allombra della Madonnina è il segno della débâcle: consensi dimezzati rispetto al 2001. Conferma di un partito incapace di mantenere quel patrimonio e di segnare passi in avanti. Triste risultato che lubriacatura di parole non aiuta a digerire. Anzi, la conquista di Palazzo Marino appare sempre più difficile: ragione sufficiente, leggi opportunismo, per reclamare a gran voce quel listone con i Ds che, a Milano città, dovrebbe restringere il distacco con il centrodestra. «Sarebbe da folli non farlo, anche se uno non ci crede e ragiona solo cinicamente» sbotta Nando Dalla Chiesa.
Scelta, chiosa Patrizia Toia, che «dà una responsabilizzazione in più: nessuno deve parlare fuori dal coro e nessuno può permettersi di scherzare col fuoco», ovvero «Bruno Ferrante è la guida attorno a cui stringerci». Tesi della segreteria provinciale che non ammette né se né ma e, quindi, spinge Alberto Mattioli a correggere una dichiarazione inequivocabile: «Vincere fa bene al morale, infonde coraggio e forza» ma «il risultato è risicato e pone problemi di governabilità». Valutazione del vicepresidente della Provincia di Milano che continua a porre unipoteca sulla poltrona numero due di Palazzo Marino, quella stessa poltrona su cui Carlo Cerami, coordinatore della segreteria della Quercia, ha messo gli occhi pur cosciente che «Letizia Moratti resta un candidato forte e batterlo non è impresa facile».
Ammissione che «malgrado laffermazione della Casa delle libertà alle politiche» Roberto Caputo non controfirma: «Sono convinto che, a Milano, possa vincere lex prefetto» dice il consigliere provinciale dielle prossimo a un nuovo trasloco. Ma come si vince? «Con una credibile proposta politica ossia una lista unitaria che non può essere soltanto la sommatoria dei Ds e della Margherita ma» avverte lex azzurro «anche il valore aggiunto dei socialisti e dei riformisti che in queste elezioni hanno premiato Silvio Berlusconi». Come dire: bisogna (ri)portare allinterno dellUlivo - che a Milano conquista (Camera) il 28,8 per cento - quelle forze socialiste e riformiste che sono una ricchezza e che, evidentemente, Caputo, tenta di mettere assieme. Operazione spregiudicata con tanto di consenso della segreteria Ds: «Sì a un confronto con la Margherita per una lista comune che non sia però una semplice sommatoria dei due partiti, ma che sia lista aperta anche ad altri soggetti» osserva in proposito Pierfrancesco Maiorino, mentre valuta i punti di distacco dalla Casa delle libertà facendo riferimento al quadro elettorale delle Regionali 2005. Scenario che, secondo il segretario cittadino della Quercia, rende «difficile la partita per il Comune» e, comunque, «aperta». Aggettivo, questultimo, che il presidente del consiglio provinciale Vincenzo Ortolina (Margherita) ripete però con una nota, «la partita è aperta ovviamente a certe condizioni».
Clausole dettate ai partiti dellUnione dallex inquilino della prefettura: «Dobbiamo dire ai milanesi quale Milano vogliamo e come la vogliamo realizzare. Unidea di città europea, che si rivolge principalmente ai giovani, che promuove lo sviluppo, la creatività e la competitività attraverso proprio lazione dei giovani». Leit motiv accompagnato da una fuga in avanti dellex prefetto, «ci sarà una lista Ferrante anche per le zone e dobbiamo lavorare sulla lista civica», che la Rosa nel pugno stoppa: «Meglio sarebbe stato se questa necessità si fosse manifestata e concretizzata prima del 9 e 10 aprile» ribatte Alberto Grancini. Messaggio che Ferrante preferisce ignorare garantendo a parole di «rivolgersi a un pubblico molto più vasto rispetto a quello del centrosinistra».
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