Laura Cesaretti
da Roma
Era sparito dallorizzonte da qualche settimana, facendo temere per le sue sorti. «È morto», già prevedeva qualche analista. E invece, in pieno avvio di campagna elettorale, il Partito democratico rispunta dalle nebbie, e torna a far parlare di sé. Ieri lo ha rievocato il leader della Margherita Francesco Rutelli, dettando quelle che a suo parere sono le condizioni perchè la nuova creatura politica nasca dalle ceneri dei Ds e del suo stesso partito: innanzitutto, occorre «dar vita ad una forza nuova, e non alla quarta trasformazione successiva del Partito comunista, una storia che ha molti meriti ma anche limiti», manda a dire agli alleati della Quercia. «Per fare unaggregazione e non solo unalleanza con le altre culture cattolico-popolari, liberaldemocratiche, riformiste, laiche, ambientaliste moderne - spiega il leader Dl - ci vuole un nuovo inizio. E perchè ci sia un nuovo inizio in politica ne occorrono le condizioni, perchè altrimenti hai solo lingresso di uno nella casa dellaltro. E da parte mia non intendo farlo, così come non lo chiedo ad altri». Nel futuro Partito democratico, insomma, «nessuno deve esercitare legemonia», e dunque occorrono «rapporti di forza dignitosi» tra i soggetti fondatori. Un «buon risultato elettorale» della Margherita (oltre che naturalmente dei Ds) sarà «il viatico» di questa operazione.
Nel frattempo di «viatico» ne è arrivato un altro, solenne e autorevole, e nel partito rutelliano non nascondono la soddisfazione: nellormai celebre editoriale dellendorsement, quello con il quale Paolo Mieli ha schierato ufficialmente il Corrierone a favore del centrosinistra, il primo leader «buono» evocato dal superdirettore era proprio lui, Rutelli. Che «ha saputo trasformare una formazione di ex Dc e gruppi vari di provenienza laica e centrista in un moderno partito liberaldemocratico nel quale la presenza cattolica è tutelata in un contesto di scelte coraggiose nel campo della politica economica e internazionale». Benedizione in piena regola, mentre al povero Piero Fassino veniva reso solo il merito di aver «traghettato» la «tradizione post-comunista» nel campo dei valori liberal-democratici «di cui sopra», ossia quelli incarnati da Rutelli.
E ieri il quotidiano della Margherita Europa riproponeva in prima pagina un saggio di Arturo Parisi sul partito democratico come «terza via» allitaliana per il «superamento» delle identità passate (a cominciare da quella post-comunista). E spiegava nel suo fondo che «forse non è un caso» se Mieli «metteva in testa al suo elenco di formazioni credibili» proprio il partito di Rutelli, e non altri. E che non ci sarà nella prossima legislatura bisogno di «trame neocentriste» o di «immaginifici terzi poli» per dar vita a «quel moderno partito liberaldemocratico di cui parlava il direttore del Corriere, a patto che la Quercia non si faccia «trascinare» dallanima massimalista della sinistra «in una specie di riedizione del Pci appena socialdemocratizzata». E apra invece, coraggiosamente, «la stagione del partito democratico», senza ansie egemoniche.
In casa Ds nessuna reazione ufficiale, ma il malumore cè. Lo stesso che pochi giorni fa era stato fatto trapelare dalla dalemiana Velina rossa, che accusava Rutelli di aver impresso una «accelerazione fuori luogo» alla prospettiva del Partito democratico, al solo scopo di riaccendere la tensione interna alla Quercia e di «farci anche perdere voti», come denuncia un esponente Ds.
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