Maria crolla e confessa: «Ho affogato io Mirko»

L’ammissione durante l’interrogatorio chiesto dai legali della donna. Adesso potrebbe ottenere gli arresti domiciliari o il ricovero in una struttura psichiatrica

Maria crolla e confessa: «Ho affogato io Mirko»
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Andrea Acquarone

Da quando settimana scorsa l’avevano rinchiusa in una cella accanto all’infermeria di San Vittore, non parlava più. Lo sguardo fisso nel vuoto, spento. I movimenti lenti, appannati, quelli di una persona senza più anima.
«È stata una disgrazia, non volevo uccidere mio figlio», si era limitata a dire a giudici e carabinieri quando ormai l’assurda storia della aggressione, del fantomatico ladro entrato in casa, non poteva più reggere. I riscontri degli esperti della scientifica l’avevano inchiodata. Ma nulla di più. Maria Patrizio, rinchiusa nel mutismo, in quello che i suoi legali genovesi definivano «stato catatonico», di aggiungere altro, di spiegare perchè, di come fossero andate effettivamente le cose quella tragico mercoledì 18 maggio, sembrava davvero non volerne sapere.
Ieri il colpo di scena. Di pomeriggio, davanti agli stessi militari che l’avevano ammanettata dopo una settimana di indagini e soprattutto davanti ai magistrati inquirenti. I procuratori della Repubblica, Anna Maria Delitala, e il sostituto Giovanni Gatto, dopo pranzo sono partiti da Lecco alla volta del carcere milanese. E qui la bionda Mary, l’aspirante starlette diventata madre forse per far felici altri, è crollata. Smagrita, pallida, gli occhi vitrei: ha reso piena confessione. Ammettendo l’omicidio, confessando una volta per tutte le proprie responsabilità.
Accanto a questa biondina ossigenata, che in pochi giorni di prigione ha perso cinque chili, e che da dopo la nascita di Mirko era caduta in depressione tanto da dover ricorrere ad analista e psicofarmaci, i suoi difensori Ernesto Rognoni e Fabio Maggiorelli. Proprio loro il giorno prima avevano chiesto di fissare al più presto un interrogatorio.
L’unica strada, la più rapida, quella della confessione, per sperare di far uscire di cella Maria Patrizio. Almeno per essere curata. Adesso che l’indagine può dirsi veramente conclusa e qualora i giudici escludessero pericoli di fuga, la mamma infanticida, potrebbe ottenere gli arresti domiciliari o il ricovero in una struttura attrezzata al suo caso «clinico».
La famiglia, che dopo averla protetta fin dal giorno dell’omicidio, difendendola contro tutto e tutti, non la abbandonerà. Né i genitori, né i suoceri e nemmeno il marito Kristian che anzi, nonostante tutto, a dispetto di quel suo bambino di cinque mesi ucciso, ha già chiesto più volte di poterla incontrare.


«La Patrizio è una donna malata», ripetono i suoi legali «il carcere non è compatibile con le sue condizioni». E adesso che finalmente Mary ha raccontato tutto, forse liberandosi finalmente dai suoi fantasmi, forse rivedrà la libertà. Almeno in attesa di giudizio.

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