Marketing: bandana e lacca per gli intellettuali popstar

Narcisisti, approssimativi, apocalittici e nostalgici. Un ironico pamphlet affetta i presenzialisti della cultura. Sempre pronti a spararla grossa o a dare lezioni. Nonostante la propria incoerenza

Marketing: bandana e lacca 
per gli intellettuali popstar

Conformisti, sentimentali, retorici, apocalittici, nostalgici, cialtroneschi, narcisisti. Sono gli intellettuali italiani. Anzi, le popstar della cultura italiana, perché gli intellettuali sono scomparsi da tempo, sostituiti dagli opinionisti. Hanno un successo di massa, prosperano nei media, si nutrono di marketing, producono opere che un tempo si sarebbero definite midcult: hanno l’aspetto della cultura d’alto profilo ma sono un compromesso al ribasso, una falsificazione attuata a fini commerciali. Queste sono le premesse di Popstar della cultura (Fazi, pagg. 219, euro 18) di Alessandro Trocino.

Sottotitolo: «La resistibile ascesa di Roberto Saviano, Giovanni Allevi, Carlo Petrini, Beppe Grillo, Mauro Corona e Andrea Camilleri». Sei brevi biografie ironiche per illustrare come si diventa maître à penser, pur non disponendo di un penser. Un semplice campione, spiega l’autore. Molti altri personaggi avrebbero potuto essere inclusi nel libro: da Tiziano Terzani, forse il capostipite, a Robero Benigni, passando per i fratelli Muccino, Maurizio Cattelan, Fabio Fazio, Massimiliano Fuksas, Alessandro Baricco, Nichi Vendola.

Roberto Saviano. Il suo volto è diventato un’icona, copertina dopo copertina. Recluso ma presenzialista, lancia e firma appelli uno via l’altro. Scrive di tutto: terrorismo, combattimento di cani, malasanità, corruzione, Pietro Taricone. Sempre con tono profetico. La resa al conformismo coincide con l’ingresso nel salotto di Fabio Fazio. Saviano entra nel pantheon della sinistra televisiva a cui si piega definitivamente con la messa cantata di Vieniviaconme. Ora è chiaro, come scrive Trocino: «Da una parte lui (la sua probità morale, il suo coraggio civile, la sua denuncia politica); dall’altra la camorra e Berlusconi. Da una parte gli amici, dall’altra i nemici. Da una parte i seguaci, dall’altra la macchina del fango». E le critiche in buonafede? Saviano non ha mai gradito il dibattito.

Giovanni Allevi. Alcuni giornali insinuano che Allevi sia dotato solo nel senso che si è dotato di un ufficio stampa straordinario. Comunque sia Allevi si è calato nel personaggio del musicista classico gradito ai giovani ma inviso all’Accademia. Sfodera il suo lato eccentrico (non ha il pianoforte in casa, e nemmeno la vasca da bagno) ed è sceso dalla proverbiale Torre d’Avorio per apparire ovunque: programmi tivù, spot, giornali, concerti, perfino nel Comitato per le celebrazioni del 150°. La sua grande preoccupazione? Il volume dei ricci: «Per incrementarli ho provato di tutto. Alla fine mi sono fermato al balsamo Hydra Ricci della Garnier: rende il riccio definito». Dopo aver affermato: «Io sono l’Accademia», l’«Accademia», nella persona di Uto Ughi, gli ha comunicato la sua opinione: «Musicalmente è risibile». Per dare sostanza alle sue composizioni, il pianista si è inventato «una base pseudofilosofica» dove abbondano concetti e maiuscole: Nuovo Rinascimento, Era dell’Emozione, etc. etc. Per tessere le lodi dell’emozione, si spinge spesso in territori oscuri: «È la ragione l’origine della violenza».

Carlo Petrini. Nemico giurato dei paninari anni Ottanta, amico della cultura contadina, inscatolata e corretta. Il capo di Slow Food promette la rivoluzione: «Dietro al fast food c’erano una nuova cultura e una nuova civiltà con un unico valore: il profitto». Ambientalismo e gastronomia vanno a braccetto e non disdegnano lauti finanziamenti pubblici (600mila euro per l’edizione 2010 del Salone del Gusto). Ma l’ideologia alla base a molti sembra incongruente, «natura» e «tradizione» sono concetti scivolosi, l’equazione «chimico» uguale «pericoloso» non sempre torna. E allora resta solo il rimpianto di una passato idealizzato. Se la scienza ci rimette le penne, amen.

Beppe Grillo. L’apocalittico. Questa è una società votata all’autodistruzione, i politici sono carogne, il sistema economico fa schifo, la società è marcia. Solo internet e le auto a idrogeno ci possono salvare. E «un vaffanculo alle sfumature, alle incertezze, ai chiaroscuri. Un vaffanculo a chi tentenna, a chi si fa contagiare dai dubbi, a chi si fa inquinare dalla melma gelatinosa dei riformismi equivoci».

Mauro Corona. Bandana e maniche corte, Corona si presenta sempre come «irriverente, alieno ai compromessi, sceso dalle montagne alla città per épater les bourgeois e rendere lividi di imbarazzo parrucconi e potenti dell’editoria». Si dipinge isolato ma partecipa a tutti i festival, odia la televisione ma è sempre in video, dichiara la sua estraneità al mondo delle lettere ma si lamenta della critica («mi snobba») e denuncia l’ostracismo della stampa. Nell’ultimo libro immagina la fine del petrolio e il ritorno a una arcadica società fondata sul lavoro contadino. Solo l’orto ci salverà.

Andrea Camilleri. Il Sommo, come lo chiamano i suoi fan, dichiara e scrive a tutto spiano. Rimpiange il Partito comunista, verga poesie contro re Silvio da Arcore, depreca la decadenza dei costumi. Amato dal pubblico, meno dai critici (Massimo Onofri: «un atleta delle classifiche»), nonostante faccia professione di anticapitalismo è ben attento a fornire al mercato tutto quello che il mercato richiede.

Infatti sforna romanzo dopo romanzo senza sosta (già due nel 2011). Progressista convinto, rimpiange i tempi andati: «Io sotto il Fascismo ero più libero di voi», dice alle platee di ragazzi. Vallo a dire anche ai fratelli Rosselli.

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