Maroni vede il bluff di Renzi «Non fa rimpatri di migranti»

Il governatore dopo il vertice romano demolisce la linea del presidente del Consiglio «Dove si fa la verifica fra immigrati economici e richiedenti asilo? Nessuna risposta»

Nessun chiarimento, nessuna schiarita. Continuano ad addensarsi nuvole nere sui rapporti fra il governo e la Lombardia - e le altre regioni del Nord. Il vertice di ieri ha allargato ancor di più il fossato che separa i governatori e il governo. Ed è stato il lombardo Roberto Maroni a sancire il fallimento del vertice convocato a Roma. Le aspettative del presidente della Regione Lombardia, a dire il vero, erano piuttosto alte: «Spero che finalmente ci siano i rimpatri e il blocco delle partenze degli immigrati» ha detto il leghista ieri mattina entrando a Palazzo Chigi. L'Italia è presa in giro e sbeffeggiata» in Europa - ha constatato Maroni - e il premier, Matteo Renzi, «non può scaricare sempre sugli altri le colpe». Gli altri di cui parla sono gli enti locali: le Regioni, innanzitutto. Almeno Lombardia, Veneto e Liguria, che hanno manifestato l'intenzione di bloccare l'accoglienza. «Non siamo disponibili ad accogliere nuovi immigrati perché siamo al completo» ha ripetuto anche ieri Maroni. Ma gli altri, secondo l'«asse del Nord» sono anche i Comuni (spesso anche di sinistra) che non perdono occasione di manifestare disagio nel far fronte agli impegni dell'accoglienza. Lo ha fatto anche Milano, che ha spesso criticato la gestione governativa del problema, limitandosi però a contestare il ministro dell'Interno Angelino Alfano. Anche ieri, il sindaco Giuliano Pisapia ha fatto sapere di aver reso note «necessità e urgenze», rassicurando sulla situazione della Centrale, che invece a molti era parsa davvero preoccupante nei giorni scorsi.

Profonda e generale invece l'insoddisfazione di Maroni. Dopo il vertice di Palazzo Chigi, il governatore non ha avuto problemi a chiamare in causa il premier: «L'incontro con Renzi è stato assolutamente deludente e inutile - le sue parole a caldo - nessuna risposta concreta ai problemi. Continua il caos immigrazione. Il premier ha chiesto unità ma sono solo chiacchiere, io chiedo risposte concrete a piani concreti» ha scandito». «Il governo non ci ha dato nessuna risposta sulla questione campi profughi, sugli accordi di rimpatrio» ha dett ancora Maroni, secondo la cui ricostruzione il governo non avrebbe risposto a una domanda precisa: «Ho chiesto dov'è il luogo in cui si fa la verifica fra chi è richiedente asilo e chi è immigrato economico. La risposta non c'è stata, non c'è questa possibilità di distinguerli e quindi i rimpatri non si possono fare perché non c'è un luogo dove questo avviene. A me sembra assolutamente incredibile. Questa purtroppo è la situazione oggi».

Una situazione che non sembra destinata a cambiare a breve. Così le città, intanto, provano ad attrezzarsi. Anche Milano, che pensa a un fondo di solidarietà «per superare l'emergenza immigrazione». La proposta è stata lanciata da Comune, Forum del Terzo Settore e da una serie di organizzazioni del sociale. Al centro dell'idea, Cascina Triulza, il padiglione della società civile all'esposizione universale. «Milano, la Lombardia, l'intero Paese vivono una contraddizione stridente - spiegano nell'invito alla presentazione di oggi, cui dovrebbero partecipare gli assessori comunali e il presidente della Casa della Carità, don Virginio Colmegna - sono capaci ogni giorno di accogliere decine di migliaia di persone ad Expo e vanno in crisi se devono rispondere alla richiesta di aiuto di qualche centinaio di persone alla Stazione Centrale».

Ieri sera i cittadini di Rogoredo sono scesi in strada con le fiaccole a protestare per il degrado che attanaglia il quartiere. Con loro, e i con i consiglieri di zona, c'era anche il consigliere comunale della Lega Massimiliano Bastoni: «Per denunciare - ha detto - lo stato di degrado in cui versa l'intero quartiere. Una manifestazione popolare per dire basta allo spaccio di droga, alla prostituzione e ai furti negli stabili. Un'area abbandonata a sé stessa, dimenticata dal sindaco Pisapia e dalla sua giunta, completamente assorbiti da altri interessi. Un grido di dolore ma anche una reazione d'orgoglio dei cittadini».

Innalzare da 5 a 10 anni il requisito della residenza in Lombardia per avere la casa popolare. È uno dei contenuti della riforma leghista della legge regionale sull'edilizia residenziale pubblica. Altro punto il sistema delle graduatorie. «L'attuale lista unica sfavorisce i lombardi e porta all'assegnazione soprattutto agli immigrati», dice il capogruppo Massimiliano Romeo.

Da qui la proposta di ripartizione per categorie» con il 35% degli alloggi da assegnare agli anziani, il 20% alle giovani coppie, il 15% a famiglie italiane, 15% anche per le famiglie straniere e un altro 15 % a disabili, separati, forze dell'ordine e altre categorie».

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