Martedì al Palalottomatica l’atteso concerto del celebre artista americano con il suo personale omaggio a Pete Seeger Bruce Springsteen torna alle radici

Scenografia rétro per un’esibizione dedicata alle storiche ballate americane

Simone Mercurio

«Ci vediamo in autunno!», aveva detto lo scorso maggio, dal palco del Forum di Assago dove aveva tenuto l’unico concerto italiano del breve tour europeo dedicato a We Shall Overcome, il suo album-tributo al grande vecchio del folk Usa Pete Seeger.
Detto fatto. Eccolo qui il «Boss» Bruce Springsteen, in Italia con ben sette concerti e martedì 10 finalmente a Roma, al Palalottomatica ore 21. Scenografia retrò fra velluti e lampadari in cristallo pieni di candele per l’occasione e a suonare con lui sul palco una superband di 17 elementi. Violini, banjo, fisarmonica, coristi, chitarre e ottoni, proprio come in una festa di paese, ma di quelle ad alta fedeltà. L’America rurale e la sua musica popolare, le sue radici in questo live di Springsteen. Un tour che è «figlio», come detto, dello splendido cofanetto The Seeger Sessions, che è un appassionato, semplice e diretto omaggio alla grande tradizione della ballata americana e soprattutto al suo padre nobile, l’ottuagenario Pete Seeger. Il grande, vecchio, saggio Pete Seeger. Lui, che è stato compagno di strada di Woody Guthrie e Cisco Houston, lo studioso che ha riportato alla luce l’immenso patrimonio del folklore anglo-americano, il virtuoso di banjo, l’animatore del festival di Newport, l’artista inquisito durante il maccartismo, l’indomabile difensore dei diritti civili, il padrino e l’ispiratore di icone sessantottine come Joan Baez e Bob Dylan.
Risultato dell’omaggio «springsteeniano»: un disco volutamente sporco, immediato, forse un po’ caotico, (registrato in soli tre giorni), ma che restituisce intatta l’atmosfera di una session tra amici, di una serata musicale improvvisata. Un disco sanguigno e robusto con banjo, violino, fisarmonica, contrabbasso, e la mitica washboard (l’asse per lavare i panni) della E Street Band, lo storico gruppo di Springsteen. Canzoni che hanno il sapore della storia e della terra, anzi, dell’entroterra statunitense. Uno su tutti il brano che dà il titolo all’intero lavoro, We Shall Overcome. Era il 25 agosto del 1963 e il reverendo Martin Luther King, insieme a 200mila manifestanti, sfidò la polizia marciando verso la casa bianca. Quel giorno King pronunciò il celebre discorso di «I have a dream/Ho un sogno». Quel giorno John Kennedy e Lindon Johnson furono costretti a riceverlo e a impegnarsi sul fronte dei diritti civili. Quel giorno con lui c’erano Joan Baez, Bob Dylan, Odetta, Peter Paul & Mary, cioè la generazione del folk revival Usa. L’inno di quella giornata memorabile fu We Shall Overcome, «Noi vinceremo», un vecchio inno battista trasformato in canto di lotta sindacale e raccolto poi dal «musicologo» Pete Seeger alla fine degli anni Quaranta. Le canzoni scelte da Springsteen dallo sterminato repertorio di Seeger offrono un ricco spaccato della storia americana, di una certa America, quella dei poveri, dei diseredati, dei malfattori. Ecco allora la ballata del bandito Jesse James che però, come avviene spesso nell’epica popolare, si trasforma in eroe e in padre di famiglia. Ecco la ballata di John Henry, l’operaio delle ferrovie che, armato di piccone, sfida in una gara mortale le perforatrici meccaniche, e muore in questo romantica lotta contro il progresso, contro la macchina dell’industria che uccide e spersonalizza l’uomo. E ancora la ballata dei navigatori del canale Erie o i testi della Bibbia rielaborati negli spiritual come The Jacob Ladder e la dolce malinconia di Shenandoha.


Uno Springsteen irrinunciabile, dunque, su disco e dal vivo, per chi ama la musica sanguigna, verace e per chi non si perderebbe mai l’ultimo episodio musicale del grande Bruce, costi quel che costi. Un gruppo di musicisti conosciuti ad una festa, accompagnano la voce e la chitarra del Boss in questa bella avventura live.

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