
Aveva 82 anni, trascorsi in modo schivo, guardando la vita attraverso la macchina da scrivere. Il suo ticchettare sui tasti ha cambiato il volto del thriller politico e poliziesco, lo ha fatto grazie all'invenzione del personaggio di Arkady Renko, disilluso investigatore della polizia sovietica. Lo scrittore e giornalista statunitense Martin Cruz Smith, autore del celebre romanzo Gorky Park (Mondadori), è morto nella notte tra venerdì 11 e sabato 12 luglio nella sua casa di San Rafael, in California, dopo una lunga malattia legata al morbo di Parkinson. La notizia è stata data dai suoi figli attraverso il profilo Facebook dell'autore. Nato a Reading, in Pennsylvania, il 3 novembre 1942, Cruz Smith - il cui vero nome era Martin William Smith - proveniva da una famiglia di musicisti jazz, con sangue indiano da parte di madre. Dopo la laurea in scrittura creativa all'Università della Pennsylvania e un'esperienza come reporter al Philadelphia Daily News, iniziò la sua carriera letteraria (correva l'anno 1970) con il romanzo The Indians Won, a cui seguirono, tra gli altri titoli, Roman lo zingaro (Rizzoli), I due cuori di Roman Grey, L'ala della notte (entrambi per i tipi di Mondadori). Quest'ultimo titolo diventò un film di culto, un incrocio tra l'horror e il disaster movie: Le ali della notte diretto da Arthur Hiller (1979). Ma è con l'uscita di Gorky Park nel 1981 che il suo nome si impone a libello mondiale. Ambientato nel gelo di una Mosca crepuscolare degli anni di Breznev, il romanzo introduce uno dei detective più amati della letteratura contemporanea: l'ispettore Arkady Renko, investigatore caustico e disilluso, in costante lotta contro l'apparato corrotto dello Stato sovietico. Il romanzo, che si apre con il ritrovamento dei cadaveri di tre giovani nel famoso parco moscovita, va oltre il semplice thriller: è il ritratto empatico e doloroso di una società oppressa dove però la vita cerca di riemergere. Con anche qualche contrasto quando il libro divenne un film di straordinario successo. Il romanziere dichiarò di aver odiato la sceneggiatura della pellicola (del 1983, con William Hurt e diretta da Michael Apted). A suo dire tradiva il senso del romanzo: "Il punto era mostrare il calore immenso della gente, non solo la freddezza del sistema". Non a caso, il libro in Urss finì sulla lista nera della censura e Martin Cruz Smith fu etichettato come "feccia antisovietica", una definizione che accolse con orgoglio: "Era esattamente la reazione che speravo". Del resto Cruz Smith ha sempre rifiutato le etichette: non si è mai considerato un autore impegnato, ma piuttosto un osservatore appassionato delle persone schiacciate dai regimi, delle ideologie, delle menzogne.
E il suo bestseller ed il film fecero più clamore, nel bene e nel male, di molti veri dissidenti. "La vera rivoluzione è l'onestà dello sguardo", era una delle sue frasi forti. Ed è questo sguardo, onesto ma mai cattivo, che resta nei suoi romanzi.