«Massacrò mia figlia, ha scontato 3 anni»

MilanoIl dolore ha messo radici profonde. Inestirpabili. Intrecciate nel tempo. Mia figlia - racconta Paolo Di Gregorio - è stata uccisa dal marito il 21 gennaio 2000. Ma il peggio è accaduto sei anni dopo, il 9 ottobre 2006».
Che cosa è successo, signor Di Gregorio?
«A casa mia, a Cino, in provincia di Sondrio, ha suonato il maresciallo dei carabinieri e mi ha dato la notizia più sconvolgente».
Quale?
«Stia attento, mi ha detto il maresciallo, perché suo genero è uscito, io le consiglio di andarsene di casa».
E lei cosa ha fatto?
«Cosa dovevo fare?», urla e si dispera Di Gregorio. «Sono fuggito in Svizzera con la mia famiglia, come se fossi io l’assassino. Capisce le mie umiliazioni?».
È una storia raggelante quella che arriva dalla Valtellina. Una vicenda che sembra la somma di tutte le storture possibili della giustizia italiana. Un uomo violento, pericoloso, instabile di mente. Un delitto annunciato, fin troppo. Una donna disperata, Sonia. Solo vent’anni, ma già una figlia, e ben tre denunce contro il marito. Cerca di fermarlo. Invano. Il 21 gennaio 2000 Francesco Gussoni quasi la decapita con un pugnale da sub. Il peggio deve ancora arrivare: in corte d’assise lui se la cava con l’infermità di mente. Niente carcere, perché incapace di intendere e di volere, ma ospedale psichiatrico giudiziario a Montelupo Fiorentino. Poi in corte d’assise d’appello il ribaltone: l’incapace diventa capace. La condanna è a 11 anni e 4 mesi. Gussoni entra in carcere.
E quanto c’è rimasto, in prigione?
«Poco. Dopo tre anni a Montelupo e meno di tre in cella, ecco l’indulto».
L’indulto?
«Ma sì, l’indulto. Che sommato agli sconti previsti dalla liberazione anticipata ha permesso a questo criminale di uscire nel 2006. Ho passato settimane di terrore, sono scappato in Svizzera, lui voleva tornare a Cino. Allora io ho gridato a tutti che se l’avesse fatto l’avrei ucciso con le mie mani».
Si è fermato?
«Non è venuto in paese, un borgo di trecento abitanti, ma è finita anche peggio».
Come?
«Il comune di Cino, pur di tenerlo a distanza, gli ha pagato per molti giorni la permanenza in una casa di accoglienza. Così la collettività, e indirettamente anch’io, ha sborsato 2.500 euro per mantenerlo».
A quel punto lei si è arreso?
«No, mai. Mi sono ricordato che la sentenza di condanna prevedeva un periodo di cinque anni di cure in una struttura attrezzata: allora, ho chiesto che lo spedissero in un qualche centro del genere. Incredibile, ma il giudice se n’era dimenticato».
Le hanno dato retta?
«Sì, prima l’hanno rinchiuso ad Aversa, poi a Castiglione delle Stiviere dov’è oggi. Però a novembre uscirà ancora. Per sempre. Sono preoccupato, preoccupatissimo, ho paura. Spero che qualcuno legga queste mie parole e mi aiuti. L’uomo che ha massacrato mia figlia, un pericoloso border line, se l’è cavata con una condanna ridicola e sconti e bonus di ogni genere».
Almeno l’ha risarcita?
«No, non ci ha dato nemmeno un euro di risarcimento.

E allora il mio avvocato Claudio Defilippi, un tipo tosto, ha fatto causa allo Stato, sfruttando una norma europea poco nota nel nostro Paese. Mia figlia non è stata tutelata: ora mi aspetto le scuse dalle istituzioni e un aiuto a tirar su mia nipote che oggi ha dodici anni. Ma l’incubo continua: temo di imbattermi in quel macellaio nelle prossime settimane».

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