Matrimoni gay, il sindaco sconfessa l’assessore

Una cerimonia per le unioni di fatto, oppure no. Il nodo (anche politico) è questo. E non è di poco conto, simbolicamente e non solo. La maggioranza in Comune introdurrà il registro delle unioni civili: è scritto nel programma, è stato ribadito nel giorno del gay pride e poi confermato dal sindaco, Giuliano Pisapia. Su questo non c’è alcun dubbio. Sulle modalità formali di questa registrazione, e sugli effetti che deve produrre, la divisione è ormai aperta. Da una parte c’è l’assessore Pierfrancesco Majorino, e l’ala laica del Pd, che vuole una sorta di matrimonio-bis. Di «cerimonia» ha parlato l’assessore delegato - appunto - alle Famiglie. L’ala laica della giunta in effetti vuole una cerimonia che formalizzi la registrazione dell’unione civile. Pensa a un momento formale, quindi si presume pubblico e solenne, che sancisca l’esistenza di una nuova unione.
Il sindaco invece, lo ha detto apertamente ieri, è contrario a quest’ipotesi. «Non c’è bisogno di nessuna cerimonia», ha spiegato alla fine dell’assemblea generale di Confcommercio, in corso Venezia. Così facendo si è schierato con gli altri assessori, anche del Pd, che al «Giornale» hanno già illustrato la loro perplessità. Come Marco Granelli, che proprio su questo punto ha piantato i paletti cari all’area dei cattolici (anche) di sinistra: «Sono contrario al matrimonio gay - ha detto - oltre tutto non è previsto dal programma». «Va bene che ci sia un registro - ha concesso - ma non un istituto. Se si realizza un istituto diventa come il matrimonio». Ancor più netto il consigliere Andrea Fanzago: «La famiglia è quella indicata dall’articolo 29 della Costituzione. Altre scorciatoie non hanno senso - ha detto - Al limite si può pensare a un registro per le coppie eterosessuali con figli, così che i bambini siano garantiti. Invece mi sembra di capire che pensino a questi registri proprio per le unioni omosessuali». «Quali sono i diritti non riconosciuti? - si è chiesto - già con lo stato di famiglia e la residenza si risolvono i problemi di cui si discute. La famiglia è quella fondata sul matrimonio».
Escludendo una cerimonia, Pisapia ha sposato apertamente questa linea moderata. E ha messo in conto la possibilità di scontentare una parte della sua maggioranza e del suo elettorato per rassicurare l’altra. Del resto questa scelta di campo è già emersa chiaramente con la decisione di non partecipare direttamente al gay pride. E qualcuno non ha mancato di notato che il sindaco era in piazza Duomo per la triplice beatificazione del giorno dopo - un segnale che ha la sua importanza. Dopo aver confermato il sì alle unioni, Pisapia ha ribadito che «c’è semplicemente una dichiarazione, e una verifica da parte del Comune che quella unione di fatto sia realmente esistente e non uno strumento per avere vantaggi di qualsiasi tipo».
E questo è il secondo punto: i vantaggi. I Radicali, a pieno titolo parte integrante della maggioranza, ieri hanno colto la palla al balzo per chiedere di più allo stesso Majorino: «Il registro delle unioni civili non è un atto simbolico, ma funzionale all’adozione di politiche e di atti non discriminatori”» ha dichiarato l’associazione “Certi diritti” citando il programma elettorale, ricordando che prevede anche «riconoscere la pluralità delle forme di comunione di vita, con l’impegno dell’amministrazione a promuovere la parità e contrastando ogni discriminazione». La richiesta è chiara: «Piena parificazione con la coppia sposata (nell’ambito delle competenze comunali) di ogni comunità di affetto e di stile di vita». Ovviamente il centrodestra è su posizioni diametralmente opposte. Il governatore Roberto Formigoni ieri ha risposto: «Potete immaginare cosa pensi» di certe proposte.

Il suo assessore Romano La Russa, ex An, è stato più esplicito: «Pisapia si occupi dei problemi concreti delle famiglie tradizionali» - lo ha esortato, paventando «la delegittimazione della famiglia tradizionale a favore di unioni estranee al nostro ordinamento giuridico e, soprattutto, alla nostra cultura».

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