Lea Pericoli
Amelie Mauresmo è la nuova regina di Wimbledon. Cinque giorni dopo aver compiuto 27 anni, 81 anni dopo Suzanne Lenglen, lultima giocatrice francese ad imporsi sui prati di Londra (1925), la tennista transalpina ha conquistato il suo secondo titolo in un torneo del Grande Slam. Il primo lo aveva vinto allinizio dellanno in Australia proprio contro Justine Henin. Ma in quella finale sul 6-1, 2-0, in favore di Amelie, Justine si era ritirata per un infortunio, lasciando alla rivale una vittoria «incompleta». Tra le due giocatrici il conto era rimasto sospeso lo si è visto chiaramente quando nessuna delle due ha chiesto scusa allaltra per un «net». Un gesto forse inutile ma obbligatorio nel tempio del tennis dove antiche regole e letichetta del gioco vengono ancora rispettate.
Amelie Mauresmo ha vinto per 2-6, 6-3, 6-4. Risultato che non lascia spazio a equivoci. Eppure sono la prima ad ammettere che ho visto una partita complicata da raccontare. Un confronto che non può essere decifrato solo leggendo aridi numeri su uno score. Nel gioco dapertura del primo set Amelie ha ceduto la battuta. Poi è stata dominata da una avversaria troppo forte. Non cerano dubbi. Buon servizio, rovescio feroce, attacchi a rete, preziosismi nelle volée e l'inarrestabile Justine portava a casa il set per 6-2 in 31 minuti. Lesile campionessa belga, dopo ogni quindici, lanciava sguardi dintesa alla panchina dalla quale Carlos Rodriguez, il suo coach, le faceva segno di attaccare. Di spingersi a rete, di non concedere tregua. Sorridevo pensando a ciò che in quel momento avrei potuto leggere sui taccuini dei miei colleghi, pronti al lancio dei titoli: «Incapace di dominare i demoni della paura ancora una volta Amelie si arrende». Attenzione era quello che pensavo anchio. La Mauresmo non riusciva a prendere neppure i piccoli vantaggi che lavversaria le offriva. Poi è iniziato il secondo set e allimprovviso si è rotto lincantesimo. Justine ha cambiato ritmo. È rimasta indietro. Ha commesso troppi errori. Ha lasciato respirare l'avversaria che è rientrata in partita, conquistando il secondo set per 6-3. E, anche qui cè da dire che con il numero di palle break che la Henin aveva concesso Amelie avrebbe potuto addirittura concludere per 6-0. Quando una finale si risolve 6-4 al terzo è innegabile lequilibrio. Cosa ha fatto la differenza tra le due giocatrici? Da una parte lirregolarità e linspiegabile stanchezza fisica di Justine, dallaltra il coraggio ritrovato dalla Mauresmo. In fondo si tratta di cambiare un verbo e un aggettivo a un titolo: «Finalmente capace di dominare i demoni della paura Amelie conquista Wimbledon».
La finale è stata bella perché abbiamo visto due donne servire e andare a rete, come facevano le grandi campionesse del passato, presenti ieri nel Royal Box: Maria Bueno e Margareth Court. Il ritorno del «serve and volley» rappresenta una svolta positiva. Lo diceva Lew Hoad: «Quando un campione si afferma, a sua immagine e somiglianza, in giro per il mondo nascono milioni di cloni». Oggi Wimbledon ci regala la finale maschile. La più straordinaria sfida che potessimo sognare. «Federer il Divino», vincitore delle ultime tre edizioni del torneo affronta Rafael Nadal, lirriducibile guerriero della terra rossa, il super atleta che non conosce la paura. Per spiegare a Nadal il significato della parola «fear» in conferenza stampa gli inglesi hanno dovuto convocare un traduttore spagnolo. Manolo Santana giura che Nadal ce la farà.
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