Un giovane ragazzo o un ragazzo giovane? L’età non conta. Dici baffo, sigaro e Sandrino: è Mazzola. Quel quadretto, quel sorriso non scoloriscono mai.
Mazzola cosa pensava ai tempi della gioventù quando vedeva un uomo di 70 anni?
«Pensavo che era molto vecchio. E ci ho ripensato ora: tutti questi auguri. Mi hanno sorpreso. Non avevo previsto. Mi sono accorto di avere 70 anni, ai 60 non era stato così ».
Chissà i ricordi! L’aneddoto che racconterebbe sempre?
«Sono due. La prima volta che andai a giocare al Filadelfia: lo stadio del grande Torino, lo stadio di mio padre. In quello stadio facevo la mascotte, vestito con scarpine e maglietta del Toro. C’ero sempre: per allenamenti o partite. Andai con l’Inter,allenava Peppin Meazza. Rimasi male perché nessuno mi venne a dire una parola, nessuno del Toro a salutarmi. Eppure... Venne solo Zoso, il vecchio magazziniere di mio papà, mi portò giù nello spogliatoio: si era preso lui lo stipetto del papà e sotto, mi fece vedere, aveva messo quello con il mio nome».
Poi sul campo?
«Non vidi palla. Troppo dura mettere tutto alle spalle. Alla fine ero mogio, Meazza capì. Venne da me, mise una mano sulla spalla e mi disse in milanese: ho capito. Oggi la partita non conta niente».
Il secondo ricordo?
«La prima finale di coppa Campioni con il Real Madrid, la squadra dei miei sogni. Allora non avevamo la Tv in casa: io andavo a bere una spuma al bar sotto casa per vedere le sue finali. Incontrai Di Stefano, il mio idolo: sembrava di vedere mio padre. Era immenso, grande, alto, ci vedevo tutto. Lo guardavo quasi estasiato, finché non venne Suarez che mi prese per il braccio e mi disse: Allora andiamo a giocare la finale o continui a guardare Alfredo?».
Per quanti anni Sandro è stato solo il figlio di Valentino?
«Quando giocavo fra i ragazzi era un massacro. Li sentivo tutti, magari erano pochi ma li sentivo: quello non è bravo come il papà, il papà un’altra cosa. Una sinfonia... A me piaceva anche il basket e giocavo benino. Un giorno affrontiamo con la mia squadra il Simmenthal, quello di Riminucci. Ne combino una: sono in palleggio, vedo due gambe larghe e gli faccio il tunnel. Un putiferio! Ma intanto il Simmenthal prende me e Ongaro, che poi diventerà un giocatore importante».
Poi ci ha ripensato...
«Appunto. Mi allenavo alla-Forza e Coraggio con il Simmenthal e con i giovani dell’Inter. Poi un giorno, io e mio fratello, ci mettiamo a giocare in cortile con i tappini, quelli della Coca, facendo la radiocronaca come Carosio. Di colpo mio fratello si ferma e dice: Sandro, noi non possiamo giocare con le mani, noi giochiamo con i piedi. Vai a dirglielo a quelli del Simmenthal. E così fu. E divenni Sandro Mazzola».
Le cose più belle da ricordare nella vita?
«I miei figli, me li sono goduti. Non ho avuto praticamente il papà, anche se il patrigno era fantastico. Volevo che sentissero il rapporto padre-figlio. Poi il ritorno alla vita di famiglia quando mia mamma si è risposata».
Un viaggio mai fatto?
«InAustralia. Quandosmisi di giocare, lessi un’inserzione: parlava di un’isoletta, nemmeno abitata, solo una casetta e pecore da allevare. Dissi a mia moglie: investimento interessante. Andiamo? E lei: certo, fantastico! Siamo rimasti qui».
La partita mai persa?
«La finale con il Celtic Glasgow: persa 2-1. Eravamo in vantaggio, avevo segnato io su rigore. Era impossibile farci gol: avevamo una difesa di ferro. Tante volte ho ripensato come mai abbiamo mollato così? Me la sogno ancora di notte: vedo la partita, sogno tiri e contro tiri fuori e sul palo».
Mazzola ha visto tutto nel calcio?
«No, il calcio sa sempre proporre qualcosa di nuovo».
Dica calcio e pensi: sconcio...
«Ho visto qualche sconcio, ma fa parte del mondo in cui viviamo. E il calcio è infinitamente meno sconcio rispetto ad altro».
Bellezza?
«Quando vedi un tiro di esterno, due dribbling a fila. Paragono la bellezza del calcio a quella di una donna. Un dribbling perfetto è come il viso di una bella donna».
Emozione?
«Quando esci dal sottopassaggio: buio, silenzio, il boato del pubblico, il sole. É il momento più bello. Emozione provata anche al 14˚ anno in cui giocavo».
Delusione?
«Non tanto quando perdi. Piuttosto quando credi in qualcosa e ti rendi conto di aver sbagliato».
Chi era il Mazzola di Mazzola?
«Di Stefano, il numero uno al mondo. Sapeva fare tutto».
La classifica dei suoi tre migliori allenatori?
«Primo il mago Herrera. Poi Edmondo Fabbri, fantastico. Al terzo mettiamoci Valcareggi: aveva l’intelligenza di ascoltare i giocatori».
Da Valcareggi a Rivera il passo è breve...
«Ho letto quello che ha scritto su di me.Mi è piaciuto,l’ho chiamato per ringraziarlo».
Se dice Rivera, pensa?
«Al modo di dare la palla. E qualche volta ha fatto segnare anche me. Poi il sindacato fatto insieme: eravamo uniti».
L’acquisto migliore della carriera dirigenziale?
«Ronaldo, faceva cose da mostro. È il Messi di oggi con più forza fisica, allungo, era il calcio».
Nel pedigrèe potevano entrare anche Platini e Falcao...
«Platini, Falcao e Ancelotti. Il presidente del Parma ce lo dava solo a metà e senza diritto di riscatto. Fraizzoli mi disse: ma quello è un Beccalossi. Io: no, va bene per giocare dietro Beccalossi. Non si fece perchè Fraizza disse: senza riscatto, non lo prendo ».
Platini o Falcao avrebbero tradito l’Inter come Ronaldo con il Milan?
«No, altra mentalità, altri tempi, altro calcio».
Oggi è un calcio migliore?
«Oggi ci sono più soldi e più visibilità, puoi essere più popolare».
Un compagno che avrebbe voluto in squadra?
«Gigi Riva:nell’Inter sarebbe stato fantastico».
Da ragazzino dove la portava il cuore?
«Dietro a un pallone».
Oggi sta pensando alla presidenza del Coni regionale...
«Ho conosciuto persone fantastiche, amano il calcio: vedo passione e voglia di dare ai giovani la possibilità di giocare».
Mazzola oggi dove la porta il cuore?
«A vedere se mio nipotino diventerà un altro Mazzola. Ha 4 anni e mi da quella sensazione».
E lei quanti anni ha?
«Quelli per giocare come un ragazzo ».
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