Tutto, tristemente, già visto. Stamane in Malesia, allalba in Europa, lerede di Ron Dennis al vertice della McLaren, Martin Whitmarsh, avrà spiegato perché, proprio come il suo boss e predecessore, si ritrova nellocchio del ciclone. Per di più, in una vicenda diversa nei contenuti (allepoca, per Dennis, fu la nota spy-story ai danni della Ferrari) ma terribilmente simile nei risvolti. Ovvero, allora come oggi cè un team e ci sono i suoi vertici sotto accusa per non aver dichiarato il vero.
Whitmarsh dovrà infatti spiegare perché solo tre giorni fa non era a conoscenza di ciò che Hamilton con il direttore sportivo poi sospeso, Dave Ryan, avevano detto ai giudici sul caso Trulli, e perché ha poi ancora sostenuto che il team non aveva mentito. Dovranno essere spiegazioni convincenti, tanto più che la Fia sembra pronta a perdonare Hamilton ma non il team. La Federazione ha fatto sapere di «aver apprezzato gli sforzi del pilota (le scuse, ndr)» e che «a questo punto aspettiamo le relazioni dei giudici - ha però aggiunto un portavoce - prima di valutare se investigare la condotta tenuta dal team». Non a caso, è stato chiesto al presidente Fia Max Mosley se le scuse in mondovisione di Hamilton sono un gesto abbastanza significativo da scongiurare altre azioni della Federazione contro la squadra. «Non lo so ha risposto, sottolineando che nonostante certi comportamenti del pilota in passato, non cè aria di vendetta - vogliamo solo essere sicuri che ognuno si comporti come deve e rispetti le regole».
Che sia stato papà Hamilton a imporre al team di far parlare il figlio (come si sussurra) o viceversa, cresce la tensione nella squadra, così come si rincorrono voci sul toto-sanzione in caso la Fia intervenga contro il team: cè chi parla di una ventina di punti di penalizzazione alla McLaren, chi di squalifica per più gare del pilota, chi di McLaren fuori dal mondiale. Forse troppo. Anche se il precedente delle bugie nella nota spy story pesa come un macigno.
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