«Con me Tonino non è stato uomo» Parla l’ex cliente abbandonato da Di Pietro durante le indagini: «Lo trovai accanto al mio letto in ospedale e mi ospitò due settimane a casa sua. Tempo dopo gli chiesi spiegazioni: mi spintonò contro un muro»

Signor Pasqualino Cianci, ha saputo? Il Consiglio nazionale forense ha confermato i tre mesi di sospensione all’avvocato Antonio Di Pietro.
«Bene...».
Non sembra sorpreso.
«Si è comportato malissimo con me, il suo miglior amico di sempre».
Una spiegazione se l’è data?
«Non lo so. Antonio non mi ha mai dato chiarimenti. È una storia personale che voglio chiarire con lui a tu per tu. Mi deve guardare negli occhi e mi deve spiegare questi 40 anni di amicizia traditi a quel modo. Ha tradito l’amico e il cliente. Non lo giudico come ex pm, come politico, e alla fine, nemmeno come avvocato. Lo giudico come l’uomo che non è. Avrei preferito che mi dicesse: “Scusa Pasqualino, siccome sono amico tuo come lo ero di tua moglie, preferisco non difenderti”. L’avrei capito».
Cosa l’ha ferita di più?
«Troppe cose. Tanto per cominciare è diventato mio avvocato, non richiesto da nessuno».
Scusi, ma non fu sua figlia a contattarlo per la difesa?
«Così mi disse Tonino, aggiungendo che dovevo andare orgoglioso della ragazza perché aveva avuto gli attributi. Successivamente ringraziai mia figlia per l’interessamento ma lei, sorpresa, mi giurò di non averlo mai chiamato. Mai».
E chi l’ha contattato?
«Bella domanda. La sera stessa del giorno dell’omicidio di mia moglie me lo sono ritrovato accanto al letto del pronto soccorso dov’ero stato ricoverato. Ha preso la mia difesa, subito ha interrogato persone, mi ha ospitato persino due settimane a casa sua dicendo che così ero più al sicuro. Ha fatto il difensore. Quindi, da amico a cui avevo dato fiducia, mi ha tradito senza che gli revocassi il mandato. Come se non bastasse mi ha denunciato, ha portato personalmente il mio passaporto in questura, ha chiesto di fare indagini. Pazzesco. Quando l’ho visto in aula seduto vicino all’accusa non ci volevo credere».
Ci perdoni signor Cianci, ma qualcosa non torna. Insistiamo. Per quale motivo si precipitò a prendere le sue difese e poi, per usare una sua espressione, la «tradì» a quel modo?
«Se lui si comporta in un certo modo per fini politici o di carriera, libero di farlo. Ma tu non puoi venire a mangiare e dormire a casa mia e poi vai ad aprire i cassetti, e se per caso trovi qualcosa, mi vai pure a denunciare».
Non ha risposto, signor Cianci.
«Allora. Un giorno affrontai Antonio e gli feci una domanda secca, diretta. Volevo che mi rispondesse sì o no. Non mi disse niente, anzi mi spintonò contro un muro».


Che domanda era?
«In quel momento storico lui non era al top della celebrità. Io, oltre che distrutto per la morte di mia moglie, ero arrabbiatissimo perché mia figlia mi aveva appena domandato se ero stato io a chiamare Chi l’ha visto? Avete capito ora?».

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