Il mecenatismo in salsa cinese

È impresa difficile ricreare in uno spazio non troppo ampio, il Museo del Corso, l’atmosfera della splendida corte di Qianlong e la monumentalità, la ricchezza, lo sfarzo della Città Proibita, fra le più grandi regge del mondo con i suoi 726mila mq di superficie e le sue 9mila stanze. Se non quella, certo si respira un’atmosfera intensa visitando la mostra «Capolavori dalla Città Proibita, Qianlong e la sua corte». Merito dell’allestimento di Adriano Caputo che ha moltiplicato con l’ausilio di pannelli divisori le superfici espositive, giocando sui colori, giallo, rosso e azzurro per differenziare le sezioni, ma soprattutto della scelta di un periodo felice della storia cinese e delle opere che lo rappresentano, tutte di alta qualità.
La mostra è dedicata a Qianlong (1711-1799), uno dei più grandi imperatori della storia cinese e il più significativo della dinastia mancese dei Qing che dominò il «Paese di Mezzo» dal 1604 al 1911. Il sovrano durante il suo lungo regno (1736-1796, abdicò per non superare i 60 anni di regno di un suo avo), seppe imporsi sia per le sue capacità militari e amministrative (la Cina sotto di lui raggiunse la sua massima espansione territoriale comprendendo anche il Tibet e la Mongolia), che per le sue doti di sovrano aperto alle diverse religioni che si praticavano nell’impero. Dal buddismo tibetano, cornice del suo ambizioso progetto di impero universale, al confucianesimo, al taoismo, fino al cristianesimo e all’islamismo. Splendido mecenate, amante dell’arte, egli stesso poeta, musicista, calligrafo, radunò attorno a sé una schiera di artisti per ampliare e abbellire la Città Proibita. Quella che vediamo oggi è in gran parte frutto dei suoi interventi.
Vengono proprio dai depositi della Città Proibita edificata dai Ming nel XV secolo, 120 capolavori per un totale di 316 pezzi (sculture, dipinti, abiti, strumenti musicali, sigilli, armi, gioielli, stoviglie, orologi), visibili al Museo del Corso fino al 20 marzo. Alcuni non sono mai usciti dalla Cina, altri sono autentiche scoperte. Come i dipinti su rotoli di seta realizzati da Lang Shining, nome cinese del pittore-missionario milanese Giuseppe Castiglione.
Distribuita in tre sezioni, «Rappresentazione del potere», «Vita da Imperatore», «Religione e Politica», la mostra punta sulla grandiosità e sull’effetto a cominciare dalla sfilata di armature da parata dei soldati delle Otto Bandiere, i 20mila soldati che sancirono l’ascesa al trono di Qianlong, documentata in 4 rotoli monumentali su seta.

Si passa dalla ricostruzione dello studiolo di Qianlong, letterato e uomo di cultura, alla riproposizione di una delle quattro sale del trono del drago con i grandi bracieri, al ritratto equestre dell’imperatore, eseguito dal giovane Castiglione alla maniera di Rubens. Un quadro che non ha precedenti nella storia dell’arte cinese.

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