Politica

Mediaset, il processo resta a Milano La difesa: una decisione pericolosa

Sempre possibile il trasloco a Brescia: basta che uno dei 62 magistrati azionisti dell’azienda decida di costituirsi parte civile

Stefano Zurlo

da Milano

Il processo Mediaset va avanti a Milano. Ma il trasloco a Brescia è sempre possibile, anzi è dietro l’angolo. Basta che uno dei 62 magistrati azionisti Mediaset decida di costituirsi parte civile o, semplicemente, nomini un avvocato per tutelare i propri diritti e immediatamente i giudici di rito ambrosiano dovranno abbandonare il fascicolo. Per ora però si prosegue: così ha stabilito il gip Fabio Paparella che ha poi dato appuntamento, per la prossima udienza, al 14 novembre.
Per Paparella i 62 «non sono in alcun modo intervenuti nel procedimento penale facendo valere i diritti e le facoltà loro spettanti». Le 62 «parti offese sono rimaste del tutto inerti e passive, non può dirsi vi sia in concreto alcun pericolo di condizionamento del giudice procedente né alcun pericolo che minacci l’imparzialità reale e apparente dello stesso».
Insomma, i 62 sono fin qui stati in un angolo, non hanno mai alzato la mano o aperto bocca. È come se non ci fossero. Dunque, si può andare avanti, si può continuare a processare Silvio Berlusconi, e con lui il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri e altri 12 imputati accusati di frode fiscale, falso in bilancio, appropriazione indebita e (alcuni) riciclaggio nell’acquisto dei diritti televisivi dalla major di Hollywood.
I 62 magistrati sono rimasti in «letargo». Ma il problema che da oggi si pone è cosa faranno nei prossimi mesi: provocheranno la scintilla del cortocircuito? Se uno, uno soltanto di loro, entrerà in scena costringerà allo stop Paparella. Per questo le difese avevano chiesto il trasloco a Brescia, d’ora in poi la tabella di marcia è a rischio: «Proprio la motivazione di Paparella - sottolinea Nicolò Ghedini, difensore del premier - è la parte più grave della decisione, perché in qualsiasi momento uno dei 62 magistrati azionisti del gruppo Mediaset potrà costituirsi nel procedimento e azzerare tutto. Il processo andava spostato tranquillamente a Brescia dove sarebbe ripartito nel giro di pochi mesi davanti al giudice naturale. La decisione del giudice ci espone tutti». E Gaetano Pecorella, storico difensore del Cavaliere, rincara la dose: «Entriamo in una lunga fase di incertezza. Per far saltare tutto è sufficiente che una delle parti offese nomini un avvocato. E questo sarà possibile per tutta l’udienza preliminare e, in seguito, anche dopo l’eventuale rinvio a giudizio, fino all’apertura del dibattimento».
In effetti è lo stesso Paparella a spiegare che ci vuole davvero poco, anche solo «il verificarsi di un contatto con il procedimento» per richiamare l’articolo 11 del codice di procedura penale, pensato proprio per garantire l’indipendenza del collegio giudicante quando una toga è parte offesa o imputato. E dunque per costringere al cambio di città.
«Il fatto che a Milano ci siano tanti magistrati potenzialmente sospettabili di avere qualche interesse all’esito del processo sui diritti televisivi Mediaset - nota Antonio Marotta, ex consigliere laico del Csm e oggi deputato Udc - avrebbe dovuto essere motivo, di per sé sufficiente, per lo spostamento ad altra sede del processo. Ricordo infatti che sull’opera dei magistrati non deve mai esistere il minimo sospetto di condizionamento. Non a caso il capo dello Stato ha sottolineato come i magistrati debbano non solo essere, ma anche apparire imparziali». Ironizza il sottosegretario all’Interno Michele Saponara, di Forza Italia: «C’è il codice penale e poi c’è il codice di rito ambrosiano. Evidentemente nessuno vuole rinunciare al piacere e alla visibilità derivante dalla celebrazione di simili processi». Infine Enzo Fragalà di An, componente della Commissione giustizia della Camera: «La decisione di Paparella è una bomba a orologeria».

Nelle mani di 62 magistrati.

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