È deciso: insieme a Paolo, il mio amico oculista, andremo a visitare il popolo dei Dogon. Siamo riusciti a liberarci per qualche giorno dal lavoro che stiamo svolgendo all'ospedale di Nouna, nel nord del Burkina-Faso, e ci concederemo una breve vacanza per visitare queste zone. Come consigliato dalle suore andiamo a visitare i villaggi dei Dogon, una popolazione che vive completamente isolata nel Mali vicino al confine con il Burkina-Faso. Il viaggio in macchina finisce a Dyenne, poi bisogna proseguire a piedi: neppure le Toyota riescono a superare gli strapiombi e le basse foreste che stiamo per attraversare. Ci guiderà un ragazzo che dimostra una quindicina di anni, particolarmente robusto e con un simpatico sorriso. È un africano con tratti somatici e colori quasi europei e per convincerci ad assumerlo come guida ci mostra un biglietto da visita molto scritto e decorato. Si chiama Asfao, parla un buon francese e si dichiara autentico Dogon.
È già il tramonto e ci accordiamo per iniziare il percorso la mattina dopo: la prima tappa prevede almeno 8 ore di cammino. Ci svegliamo poco dopo l'alba perché quando il sole sarà alto dovremo sostare e riprendere il percorso solamente nel tardo pomeriggio. Verso le 11 ci fermiamo all'ombra di una sgangherata tettoia di paglia, in un villaggetto di poche case e qualche orto arso dal sole; la temperatura si aggira intorno ai 50 gradi. Nel nostro percorso saliamo e scendiamo collinette, attraversiamo piccoli dirupi ed incontriamo minuscoli villaggi semi deserti. Ognuno di noi porta uno zaino in spalla con il necessario per i 4 giorni del trekking. La cosa più importante è il grande termos pieno d'acqua: la temperatura è tale che l'acqua, lasciata all'esterno, dopo poco diventa calda e imbevibile. Finalmente verso sera arriviamo a Banani, un tipico villaggio Dogon di qualche migliaio di abitanti, considerato uno dei più importanti. Questa popolazione conta poco più di 200 mila persone che vivono di agricoltura e di piccolo artigianato. Dormiremo sul tetto di una casa perché nei villaggi non ci sono alberghi né stanze in cui riposare ma, a fronte di pochi spiccioli, avremo la possibilità di usare per la notte il ripiano sovrastante la casa, anche con materassi e coperte. Gli abitanti di questo paese vivono a ridosso di una parete di roccia verticale, alta più di 200 metri e che si estende per centinaia di chilometri svettando su una pianura semideserta. A circa 50 metri dal suolo sono visibili piccole aperture scavate nella pietra: sono le abitazioni degli antenati dei Dogon, dove si rifugiavano nella notte al riparo dalle bestie feroci. Pare che le abbiano utilizzate fino a quando nella pianura vi era una foresta lussureggiante piena di animali pericolosi oggi scomparsi insieme alla vegetazione.
Attraversiamo il villaggio e Asfao dimostra di essere davvero un Dogon perché conosce tutti e si ferma a parlare con chiunque incontriamo. Il loro saluto è uno strano rituale fatto di domande sempre uguali e riguardanti lo stato di salute del padre, della madre, degli altri familiari, del lavoro e via dicendo; a quelle domande corrisponde sempre una risposta prestabilita. Ne deriva uno scambio di frasi ritmate, una specie di ritornello musicale a due voci. Asfao ci conduce nei punti più interessanti del villaggio, ci fa conoscere i personaggi più caratteristici e ci parla della strana storia di questo popolo. I Dogon sono animisti ma credono in un unico Dio creatore che ha preso in sposa la Terra; dalla unione di Dio e della Terra sono nati gli antenati. Celebrano numerose ricorrenze religiose, feste con lunghe danze rituali alle quali tutti prendono parte e che coinvolgono anche i villaggi limitrofi. In tali occasioni gli stregoni indossano maschere grandissime, alte fino ad una decina di metri con le quali si muovono lentamente circondati da danzatori scatenati; le cerimonie si concludono quasi sempre con serie di circoncisioni ed infibulazioni praticate ai bambini ed alle bambine. La festa più importante della loro tradizione cade ogni 60 anni, quando una stella orbitante intorno a Sirio compare nel nostro cielo.
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