Cultura e Spettacoli

In memoria dell’uomo pretelevisivo

Televisione. Anzi, nostra sorella Tv. Presenza costante, pressoché obbligata nel salotto e in cucina. Adorata e strapazzata. Vittima, spesso, di moralismi ottusi. O di letture per addetti ai lavori che, nella selva di dati e tecnicismi, manco provano ad affrontare il problema. E cioè come, al di là di ogni giudizio di valore, lo «scatolone» (oramai peraltro ridotto a una sottiletta) abbia cambiato nel profondo la struttura sociale dell’Occidente in generale e dell’Italietta in particolare. Ora, «come tutti dovrebbero sapere, ma molti ignorano, il pamphlet è lo scritto nel quale un sapere tecnico viene stressato oltre ogni limite nello sforzo di interpretare una realtà sociale o politica. In un certo senso è un’opera d’arte surrealista, è l’esasperazione di un punto di vista», asserisce Sergio Valzania in apertura del suo La morte dei dinosauri (Marsilio, pagg. 128, euro 8).
I dinosauri di cui si canta il de profundis non sono soltanto gli «uomini pretelevisivi», ma anche istituzioni, tradizioni, teorie economiche. Alcune destinate a scomparire. Altre a trasformarsi o perire. Aut aut. Prendiamo la scuola. Ebbene, ci dice l’autore, ci stiamo attardando nell’elaborazione del lutto, a cadavere già putrefatto. In circa un secolo, dal 1860 al 1960, la scuola avrebbe dovuto conseguire l’unità linguistica dell’Italia dei dialetti e la sua unificazione culturale «attorno a Dante e ai valori del Risorgimento». Invece, «in appena dieci anni, dal 1955 al 1965», la televisione «opera senza alcuno sforzo l’unificazione linguistica», con l’avvertenza che «i veri corsi di formazione elementare degli anni Cinquanta e Sessanta li ha fatti Mike Bongiorno, non il maestro Manzi». Quanto all’unificazione culturale, avviene sì, ma attorno «a Mina, Tognazzi e Vianello, Pippo Baudo e le occasioni del Festival della Musica italiana di Sanremo o il mitico Lascia o raddoppia?». Oggi poi i nuovi mezzi di trasmissione del sapere, da Internet ai telefonini, rendono la Tv definitivamente obsoleta. Dunque, meglio che si concentri sulla mission che le hanno affidato genitori e studenti: non la selezione (visto che se tu mi bocci il pargolo, io ricorro al Tar anziché sfilare la cinghia dai pantaloni), ma la socializzazione. E un poco di etica. Insomma, formare cittadini. Il resto, sono orpelli.
Valzania parte da McLuhan, e va oltre, visto che lo studioso «elabora le sue teorie quando ancora non esistono i cellulari, asciugatori dei momenti morti della vita e instancabili informatori», e quando Internet è solo nella sua infanzia. Anziché il rigoroso argomentare lineare del saggio, adotta la tecnica dello zapping, saltabeccando da un «dinosauro» all’altro. Ma, come in Blob, gli apparenti salti logici sono sostenuti da un filo rosso robustissimo. Apprendiamo così che, dopo la scomparsa delle grandi fabbriche, anche il destino dei mega centri direzionali è segnato. Ormai, i processi decisionali avvengono per mail o per telefonino, «tutto quello che accade dopo, l’inseguimento di un’orda di burocrati che si affannano a formalizzare la decisione nelle forme corrette, è superfluo nel migliore dei casi, dannoso nel peggiore». E che dire della progressiva «smaterializzazione» del commercio? Al denaro virtuale (dalla carta di credito al bonifico bancario), corrisponde la «virtualizzazione» delle merci. I files che sostituiscono i cd discografici, ad esempio. Il boom delle suonerie per telefonini. O anche i leasing. Fine del consumismo, insomma. Oppure sua trasformazione, con nuove filiere: pensiamo alla cinematografia, oramai business orientato su gadget, giochi multimediali, videocassette, che spremono da una fiction tutto il possibile.
In un mondo che cambia, la politica rivela la sua arretratezza, inseguendo il nuovo con regolamentazioni assurde (vedi la privacy) e demandando ad authority irresponsabili i processi decisionali. Col rischio di buttar via, con l’acqua sporca (procedure, residui dei partiti di massa), il bambino: la democrazia liberale. Ma, conclude Valzania, rispetto alle rivoluzioni del passato, la stampa e l’industrializzazione, «il nuovo giro di boa ci vede più consapevoli e strutturati socialmente, questa volta non dobbiamo farci cogliere impreparati».


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