Lui di sicuro non lo sapeva, ma a quanto sembra fu Gaio Valerio Catullo, supremo cantore di antichi turbamenti amorosi, il primo designer d'Italia. Questo, almeno, è ciò che suggerisce Alessandro Mendini, che ha scelto di aprire la Terza interpretazione del Triennale Design Museum, di cui ha la curatela scientifica, con il disegno del vascello protagonista del quarto carme catulliano. Dice Mendini: «C'è chi fa iniziare il design italiano nel dopoguerra, chi dal Futurismo e chi, tornando nel Rinascimento, dalla bottega del Verrocchio. Io sono risalito ancora più addietro, cercando di dare una forma a quell'agile imbarcazione che Catullo tanto amava, al punto di farsela progettare letteralmente su misura». E così, dopo aver indagato le ossessioni del design nostrano e aver fatto dialogare produzione seriale e fuori serie (Seconda interpretazione, chiusa da pochi giorni con oltre 108.000 visitatori), il museo che sa reinventarsi cambia di nuovo pelle per cercare di capire «Quali cose siamo»: questo il titolo dell'allestimento che apre il 27 marzo, curato dal francese Pierre Charpin all'insegna della più completa libertà per il visitatore, che potrà addentrarsi in un percorso a propria scelta fra gli oltre 800 pezzi in mostra. «Un allestimento problematico, che di sicuro farà discutere» spiega Silvana Annicchiarico, direttore del TDM. «L'idea è quella di indagare le infinite possibilità del design non istituzionale». Mendini parla di analisi ragionata dal punto di vista antropologico, e ricorda libri come Il museo dell'innocenza di Pamuk e Oggetto quasi di Saramago, in cui emerge una sensibilità verso l'oggetto molto simile a quella che lo ha ispirato. «Io ho voluto raccontare la storia delle cose attraverso le persone che le adoperano: ecco perché ho inserito pezzi come gli abiti che Totò indossava lontano dalle scene, l'auto di Nuvolari e la macchina da scrivere di Montanelli». Oggetti antichi e contemporanei, suggestioni materiali in cui si fondono cultura e storia, apparente banalità e ricercatezza, meraviglia e spaesamento. Non senza concessioni, perché no, alla provocazione sociale e politica. Fra i più impressionanti, una scatola piena di macerie del recente terremoto in Abruzzo, in cui si riconoscono i resti di un lampadario. Un tributo alla memoria, di forte impatto emotivo. O ancora: per esaltare le peculiarità del laminato Abet, Mendini ha rappresentato un gommone carico di clandestini che sbarcano sulle nostre coste, in mezzo ad acque blu realizzate in digitale. Il punto di osservazione si sposta dunque sulle storie che emergono dai singoli oggetti in grado di creare, posti uno accanto all'altro, fitte reti di relazioni e rimandi, paesaggi proteiformi capaci di smarrire e spiazzare, ma ricchi di emozione e spettacolarità. Perché il destino delle cose è scritto nell'uso che se ne fa, che spesso va oltre il progetto da cui scaturiscono. Quella che è stata operata è una selezione che non ha nulla a che vedere con le tradizionali classificazioni cronologiche, tipologiche e stilistiche. Curioso anche il rapporto fra oggetti esposti e allestimento, che mette in cortocircuito il minimalismo poetico e concettuale di Charpin con il sorprendente enciclopedismo di Mendini e con la sua passione per tutte le forme della cultura materiale. L'obiettivo è ancora una volta quello di fare del museo un luogo di ricerca, ma soprattutto di sorpresa e rivelazione. Le opere di maestri, artisti e giovani designer entrano in dialogo con oggetti inaspettati che, di primo acchito, non sembrano «fare sistema» ma, in realtà, mostrano una complessa matrice progettuale, forniscono una testimonianza della creatività italiana e contribuiscono a definire la nostra identità. Ma in che acque naviga il design italiano? Risponde Mendini: «All'estero le giovani generazioni stanno esprimendo talenti senza dubbio più interessanti, che però spesso si sono legati a industrie italiane.
Più in sordina i designer di casa nostra, forse schiacciati dalla forza dei grandi nomi del passato. Ma sono ottimista». E anche l'idea del museo a rotazione sta cominciando a essere notata, a partire dal nuovo Design Museum di Londra, che già guarda a Milano con molto interesse.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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