«Meno male che Tiger c’è: se esistiamo è grazie a lui»

Matteo, chi vince il Masters?
«Tiger Woods. È il suo momento, sta tornando ai suoi livelli, ha vinto l’Arnold Palmer Invitational dopo 30 mesi di digiuno. E quando gioca come adesso non ce n’è per nessuno».
Matteo Manassero quest’anno non ci sarà, l’Augusta Masters comincia oggi senza di lui, nonostante l’ottimo inizio di stagione e una vittoria (quella che gli serviva) mancata per un pelo. Però non c’è nessuno meglio di lui, a 18 anni già un campione, per raccontare il primo Major della stagione.
Ok, Tiger favorito. E Rory McIlroy invece?
«Lui pagherà il fatto di non aver giocato le ultime settimane: ha preferito allenarsi e basta. Però l'anno scorso è stato grandioso, è un campo adatto alle sue caratteristiche. Oggi è il miglior giocatore del mondo».
Altri nomi?
«Mickelson ha già vinto il torneo per tre volte, ovvio che parta un po' in vantaggio.... E poi c’è Furyk che attraversa un momento strepitoso. Gli outsider sono Bill Haas o Ricky Fowler. Ma Tiger...».
Torniamo a lui: cos'hai pensato di lui quand’era in clinica?
«Una situazione tristissima: gli sfottò, gli attacchi, gli insulti e le critiche. Sapevo sarebbe tornato a vincere però immaginavo che l’avrebbe fatto prima. Ora si vede che ha ritrovato cattiveria e soprattutto serenità».
Però vi ruba la scena. Gelosia?
«Ma va, noi gli dobbiamo tanto, è lui ad aver portato il nostro sport in una dimensione mondiale. Senza di lui il golf sarebbe un mondo diverso».
Raccontaci il campo di Augusta.
«Diciamo che non è proprio ideale per me: amo le buche più strette, la 7, 12 e la 13, mentre la 10, la 11 e la 18 sono troppo lunghe. La strategia da adottare è cercare di fare sempre par e di sfruttare le eventuali possibilità che hai per il birdie. Non ce ne sono tante».
Raccontaci il dietro le quinte: i senatori guardano storto voi giovani?
«Al contrario, i giocatori più esperti ci aiutano e ci fanno sentire a nostro agio, si rivedono in noi. Per quel che mi riguarda devo dire grazie soprattutto a Colin Montgomerie, Tom Watson e Miguel Angel Jimenez: mi hanno preso sotto la loro ala protettrice. Aggiungo che la gente è molto ben disposta nei nostri confronti, ci guarda con simpatia: Jason, Rory, Baddeley e gli altri... ci sentiamo davvero ben voluti dalla stampa e dagli spettatori».
I giocatori di oggi però hanno meno pancetta...
«Il golf è cambiato, si punta sulla forza e il fattore atletico diventa fondamentale. I campi sono lunghi, la stagione è faticosa: non ce la fai senza un fisico asciutto».
In Italia si evita di parlare di soldi, ma quanto contano i montepremi per un giocatore?
«Io vado dove penso di poter giocare bene e, ovviamente, guadagnare tanto. Inutile negarlo: la posizione nella Money List è quella che dice tutto sulla tua stagione e poi i tornei più belli sono anche quelli con i montepremi più ricchi. Ora mi gestisce la Img e meravigliosamente. Mi seguono due ragazzi giovani e ambiziosi, Gorka Guillen in Europa e Jon Heaton negli Stati Uniti».
Con gli sponsor come funziona? Ti capita anche di dire di no ad una azienda?
«Sono fondamentali e devi renderti conto che è un onore che abbiano scelto te come testimonial. Poi certo, devi sentirti addosso i loro prodotti, sennò meglio lasciar stare. Si, mi è capitato di dire di no».
Parliamo invece di coloro ai quali hai detto di sì: sei vestito Ralph Lauren.
«Sì. Ad inizio di stagione mi consegnano una trentina di capi che uso a mio piacimento nei tornei cosiddetti normali, mentre nei Major mi dicono loro cosa indossare».
Tiger ogni domenica indossa pantaloni neri e polo rossa...
«E io pantaloni verdi e maglietta bianca...».
I tuoi amici nel tour?
«Sto con gli spagnoli, ma il fatto che ora siamo sei italiani fa si che passiamo molto tempo fra di noi».
Da piccolo avevi un idolo?
«Seve Ballesteros. Mi spiace non essere stato al suo funerale. Ci siamo anche conosciuti, abbiamo praticato insieme una volta: non ridete, avevo 5 anni, ero con i miei a Gardagolf».
Oggi hai un modello da imitare?
«Si cerca di guardare tutti e di rubare qualcosa: dovessi fare un nome secco direi McIlroy».
La tua storia è un po' simile a quella di Michelle Wie, diventata professionista molto presto: nel suo caso si gridò allo scandalo...
«Nel caso di Michelle fu una forzatura e difatti non riesce a a mantenere le aspettative. Nel mio caso è stato tutto naturale, poi attorno a me ho avuto e ho gente fantastica: i miei genitori, poi il preparatore fisico Massimo Messina e l'allenatore accompagnatore Alberto Binaghi».
Nel 2010 sei stato eletto Rookie of the year, parte da lì la tua nuova vita?
«Un po' si. Perché quel trofeo lo puoi vincere solo una volta nella vita, nel primo anno come pro. Rimarrà nella storia».
Come possiamo considerarti oggi: un giovane campione o una grande speranza?
«Ho già vinto due tornei, qualcosa vorrà dire. Non penso mai a quello che ho fatto, voglio solo vincere e giocare bene. Non faccio programmi e non fisso traguardi».
Facciamo la top tre delle emozioni più forti vissute finora.
«La prima vittoria sul tour, il British Open dilettanti e il Masters».


E gli americani ti considerano il nuovo fenomeno del golf mondiale...
«Mah, forse hanno visto qualcosa di speciale in me... avranno le loro ragioni. Diciamo che non voglio deluderli e che mi sento pronto per vincere un torneo importante. Il Masters? Beh, in futuro perché no?».

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