«Meno mercato e più passione Ecco com’è la mia Milano»

Le grandi istituzioni culturali - un premio letterario, un teatro, un festival - sono sempre legate prima di tutto, più che a un luogo, a una persona. Ossia a chi quell’istituzione, prima ancora che fondarla e finanziarla, l’ha voluta. Nel caso di «Aperitivo in concerto», la manifestazione che da più di vent’anni a Milano sostiene, e a volte addirittura anticipa, le vicende della grande musica contemporanea, la persona che l’ha pensata, voluta e mantenuta sempre in ottima forma è Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset e gran patron degli «aperitivi» che Milano serve ai suoi cittadini la domenica mattina (e i lunedì sera) al Teatro Manzoni, da settembre a marzo.
Milano e la musica. Due cose che Fedele Confalonieri - nato e cresciuto all’Isola, una passione fin da piccolo per il pianoforte e già presidente dell’Orchestra Filarmonica della Scala e del Comitato per le celebrazioni verdiane - conosce benissimo.
Gusto, passione, sfida: cosa aveva in testa quando la prima volta pensò a un’avventura come questa?
«Fare qualcosa per Milano, semplicemente. L’idea dell’Aperitivo in Concerto in origine era quella di dare alla città prima ancora che un nuovo spazio, un orario nuovo. Cioè di fare vivere, dal punto di vista musicale, anche le domeniche mattine, sull’esempio di tante altre grandi città in Europa e nel mondo. Si è partiti con la classica, sempre però con un’attenzione alla novità, al diverso. E poi abbiamo provato a riportare il grande jazz a Milano, che praticamente mancava dagli anni Cinquanta-Sessanta. E l’abbiamo fatto soprattutto per dare ai più giovani la possibilità di conoscere un fenomeno, come il jazz, che è dal punto di vista musicale il più interessante del XX secolo. In questo senso, pensiamo di esserci riusciti. A fare qualcosa di bello per Milano, intendo... ».
Molti ritengono che Milano non sia messa molto bene sul piano dell’offerta culturale. Altri invece sostengono che, semmai, il problema è che Milano non sa comunicare bene come Roma, ad esempio. Che non sappiamo vendere la nostra «merce»...
«Ma è sempre stato così. Roma si vende da sola. Roma è un medium di per sé. Qualsiasi cosa organizzi lì, per il solo fatto di essere in una delle più famose città del mondo, la stai già comunicando. Da questo punto di vista nessuno può gareggiare con Roma, neppure Venezia. Mi spiace, Milano non ha una capacità di attrazione come la capitale. Ma nonostante questo, Milano non ha nulla da invidiare ad alcuno per l’offerta culturale... ».
A partire dalla musica...
«A partire dalla musica, certo. Ma scusi, faccia solo un breve elenco: le Serate musicali, i concerti della Società del Quartetto, i programmi dell’Auditorium, i Pomeriggi musicali, ovviamente La Scala e tutto il resto.... Senza contare, cosa che spesso si dimentica, che Milano ha un milione e 300mila abitanti, più l’hinterland d’accordo, ma che non è nulla rispetto, ch so, a Parigi o Londra... ».
Vuol dire che si pretende troppo da Milano?
«Voglio dire che ci sono due modi diversi di approcciare la cultura. Un modo, diciamo così, utilitaristico, che è quello di chi usa la cultura per promuovere se stesso prima di tutto. E un modo più passionale, che è quello di chi fa cultura perché ama la musica o il cinema, piuttosto che l’arte o la letteratura... A me interessava proporre l’Aperitivo in Concerto non per farmi conoscere, ma per fare un servizio alla musica. E a Milano».
E ai giovani...
«E ai giovani, certo. Lo dico senza polemiche, ma l’idea di un’iniziativa come la nostra non è quella di intasare le autostrade tra Milano e Torino, e infatti non riempiamo le pagine dei giornali, ma più modestamente di avvicinare il più possibile i giovani alla musica, e al jazz in particolare. L’idea di tenere i biglietti a prezzi bassi nasce da qui. Se pensa che alla Scala il più giovane spettatore ha 55 anni... I giovani hanno passione, e bisogna favorirli».
E Milano, ce l’ha la passione?
«Ma certo che ce l’ha. Milano è una città colta, attenta, curiosa. E ha una grande passione, per la cultura e per tutto ciò che è nuovo. C’è una tradizione culturale, un humus: università storiche, grandi licei, istituzioni prestigiosissime... I milanesi respirano cultura fin da piccoli, la vivono costantemente, sono abituati al Bello. E Milano è ancora una città che ospita splendide mostre, dove si può sentire ogni tipo di musica, ricca di offerte teatrali, dal Piccolo al Manzoni... ».
Ma senza neppure un grande evento legata al libro, pur essendo la capitale dell’editoria...
«Ma non è vero. Marcello Dell’Utri organizza da anni una meravigliosa Mostra del libro antico».
Del libro antico, appunto: una perla preziosa, ma una perla per pochi... Milano non ha grandi festival letterari né Saloni del libro come Torino o Francoforte.
«Ma il Salone di Francoforte è fatto per il mercato, è un’industria culturale il cui obiettivo è vendere, cosa più che legittima, per carità, ma qui stiamo parlando di un’altra cosa. E per quanto riguarda i festival, meglio che rimangano nei luoghi di villeggiatura, che fanno bene al turismo. Milano è diversa. Non è una città esibizionista, così come la cultura non ha bisogno di pavoneggiarsi.

Sono convinto che la cultura nasca dalla passione di una persona per venire incontro ai bisogni delle altre persone. Questa è la cultura come la intendo io. Da qui poi cresce, fino a divenire un fattore fondamentale per la convivenza civile».

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