Paolo Brusorio
da Milano
È il rischio di navigare nelle acque della politica da troppi anni: dai e dai, succede che la zappa ti finisce sui piedi. Capita di contraddirsi nel giro di pochi mesi («Non aumenteremo le tasse» disse Prodi nella primavera scorsa prima di legarsi mani e piedi alla coppia Padoa-Schioppa/Visco), figuriamoci poi quando si tratta di dover rendere conto di quasi trentanni di parole, opere e omissioni. Qui si parla di tasse sulle automobili. Prima limposta sui Suv (conta il peso; no il consumo, ma insomma i proprietari dei macchinoni pagheranno dazio), poi le esenzioni bollo per le auto Euro 4 e per le moto ecologiche promesse e ancora sub judice, fino allultima botta: limpennata dei costi sui fringe benefits. Il 67% in più per chi gode dellauto aziendale.
Insomma, si può essere daccordo o no su uno dei filoni scelti dal Professore per coprire i buchi di bilancio, ma che lautomobile sia tra gli ossi da mordere preferiti dalla Finanziaria non ci piove.
Eppure. Eppure una volta, tanti anni fa, Romano Prodi non la pensava così. A rivelare la giravolta del premier, a ritmo di slow visto quanti anni sono passati, ci pensa Quattroruote nel numero in edicola oggi. Il mensile, fondato nel 1956 da Gianni Mazzocchi, è da sempre il faro degli automobilisti e gli scontri col governo Berlusconi, in particolare col ministro dei Trasporti Pietro Lunardi, lo allontanano dai soliti sospetti, quelli di stare da una parte. Lì dentro, al limite, tifano solo per le auto e per chi le guida.
Per questo oggi, in piena tempesta, provano a pizzicare il presidente del Consiglio riproponendo dalla prima allultima riga un suo intervento pubblicato nel gennaio del 1981. Allora, Romano Prodi aveva 41 anni e aveva appena lasciato la poltrona di ministro dellIndustria del quarto governo Andreotti dove prese il posto di Donat Cattin alla fine del 78 per tenerlo fino al 31 gennaio del 79. In Italia circolavano circa 22 milioni di vetture (oggi sono 36 milioni) e nell81 furono 1.808.476 quelle immatricolate (2.237.225 nel 2005); per un litro di super si pagavano 850 lire. Tra i tanti, il Paese aveva un problema: rimettere in piedi lIrpinia sventrata dal terremoto del 1980. Agli italiani, il governo presieduto da Forlani e sostenuto dal quadripartito Dc, Psi, Psdi e Pri, chiedeva sacrifici per la ricostruzione. Come? Tra le altre cose, aumentando il costo della benzina, minacciando rincari per il bollo e più in generale vessando la categoria degli automobilisti. Che anche allora erano tra le mucche da mungere più pregiate. Contro questa politica si schiera proprio Romano Prodi: non ancora completamente conquistato dalle due ruote e dalla maratona, il Professore si veste da Robin Hood del volante. Scrivendo: «Gli aumenti deliberati in questi giorni (anche perché accompagnati da proposte di inasprimenti del bollo) hanno accentuato questa nostra anomalia, che porta a concepire lautomobile non tanto come un oggetto, quanto una fonte privilegiata di introiti finanziari per lo Stato». E poi ancora: «...lappesantimento della mano fiscale nei confronti dellautomobile è sempre stata ed è la via di minore resistenza dal punto di vista politico. A una a una si sono depennate tutte le alternative e si è rimasti con la solita benzina... In termini generali questa manovra provocherà infatti una certa diminuzione del reddito nazionale (di circa un quinto di punto), ma soprattutto causerà un sensibile aumento dei prezzi (pari allo 0,7-0,8 per cento». Il pericolo, continuava Prodi, «di aggravare un perno fondamentale delleconomia appare perciò in tutta la sua drammatica evidenza».
Questo scriveva un giovane, ma già abbondantemente navigato, Romano Prodi. Era unItalia diversa, i Suv non stavano nemmeno nelle menti dei progettisti e come dire, il contesto era davvero un altro. Un quarto di secolo fa, mica bruscolini. Però quellidea di preservare le automobili, e il loro mercato, dalla pressione fiscale sembrava ben stampata nella testa del Professore.
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