La scelta di Alfonso Iozzo come presidente della Cassa depositi e prestiti non manca di intelligenza strategica: si è individuato un banchiere di valore ed esperienza, molto utile all'istituzione che dovrà guidare. Semmai suscita perplessità la proposta fatta da Franzo Grande Stevens, grande vecchio della Fiat e presidente della Compagnia San Paolo (socio chiave della banca San Paolo), che il neopresidente della Cdp mantenga anche la carica di vicepresidente della futura banca Intesa-San Paolo. Nella «Cassa» già svolge di fatto un ruolo centrale Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo, altro «grande socio» della futura Intesa-San Paolo, aggiungere altri «espliciti» legami tra un'istituzione semi pubblica e una banca privata, sarebbe imbarazzante. Peraltro la storia di questi ultimi sei mesi di nuovo prodismo sono tutti segnati dal protagonismo di Intesa (presto Intesa-San Paolo) e dei suoi uomini. Sia dal punto di vista degli affari: la fusione tra Intesa e San Paolo, subito seguita da quella tra Bpu e Banca Lombarda, grande protetta di Giovanni Bazoli. Sia dal punto di vista delle nomine: Corrado Faissola, presidente della Banca Lombarda, diventa presidente dell'Abi (l'associazione di rappresentanza delle banche italiane), Vittorio Conti, responsabile della direzione del risk management di Intesa, viene nominato commissario Consob, infine la scelta di Iozzo.
Bazoli ha spiegato in una chilometrica intervista sul Corriere della Sera del 15 ottobre che secondo lui le grandi «reti» dovrebbero tornare in mano pubblica: insomma un po' la filosofia dell'appuntino di Angelo Rovati a Marco Tronchetti Provera. Mano pubblica significa di fatto, naturalmente, dilatazione dell'intervento della Cassa depositi e prestiti che magari potrebbe poi trovare utili convergenze con la «nuova banca per lo sviluppo» (definizione di Romano Prodi) che sarà Intesa-San Paolo: secondo il modello pubblico-privato inaugurato in Lombardia dove il presidente della controllata dalla provincia di Milano autostrada Serravalle è Giampio Bracchi, anche vicepresidente di Intesa, mentre alla Pedemontana c'è Marco Vitale, vecchio amico di Bazoli.
È anche notevole, poi, che tutti coloro che si oppongono un po' troppo a questa neostrategia pubblico-privato finiscano nei guai e sempre per l'azione attiva del governo Prodi: prima il gruppo Autostrade dei Benetton a cui è stata ostacolata la fusione con gli spagnoli di Abertis, poi Telecom Italia di Tronchetti grazie al clamoroso attacco svolto dall'asse Rovati-Prodi. Per non parlare della Rcs, dove l'ottimo giornalista economico Massimo Mucchetti, grande amico di Bazoli, ha fatto brillare l'ultima mina sotto la peraltro dissestata direzione di Paolo Mieli, proponendo come soluzione per la proprietà del Corriere della Sera esattamente la stessa fondazione che Bazoli, in un altro chilometrico intervento ospitato questo autunno dalle pagine del quotidiano di via Solferino, aveva avanzato. Il modello sarebbe quello catto-progressista oggi in vigore al Monde. Se si considera, infine, che tutte le vicende bazolian-intesian-sanpaoline s'intrecciano anche con quelle del colosso finanziario Generali (della cui impeccabile gestione peraltro non si può che dire bene), socio fondamentale della nuova Intesa-San Paolo e insieme «controllata» via Mediobanca da Capitalia e Unicredit, si ha un'idea dell'accrocchio di potere che esiste in Italia e di come dentro questo accrocchio il prodismo cerchi con molta rozzezza e altrettanta determinazione di imprimere il suo segno. Il che spaventa non solo per la trama di potere ma anche per il destino di un gruppo così qualificato come quello Intesa-San Paolo.
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