Mercato&pensiero E ora finalmente si dia spazio ai privati

L’intellighenzia parastale è in lutto. I tagli di bilancio, che già lo scorso anno avevano costretto a ridimensionare il Fus (che finanzia lo spettacolo), obbligano ora a ridurre di 58 milioni di euro le risorse a disposizione del ministero della Cultura per i prossimi due anni. Chi nel mondo intellettuale si lamenta e straccia le vesti non coglie, però, le opportunità della nuova situazione.
Nessuna nega che la cultura sia importante e che investire nell’arte, nella formazione intellettuale dei giovani e in attività ad altissima qualificazione (come nel caso del cinema), favorisca una crescita complessiva della società. Questo è vero in generale, ma lo è ancor più per un Paese come l’Italia, il cui patrimonio storico e monumentale ha pochi eguali al mondo.
C’è però da chiedersi se per avere investimenti in questi ambiti si debba per forza di cose ricorrere al denaro pubblico e se per avere attività culturali sia necessario puntare su burocrati e gruppi «sponsorizzati». L’esperienza ci dice esattamente l’opposto, poiché essa obbliga a riconoscere che se si vogliono siti archeologici curati, musei all’avanguardia, produzioni cinematografiche di livello internazionale e via dicendo è necessario che i funzionari lascino spazio agli imprenditori, e che gli amici degli assessori siano sostituiti da soggetti di mercato. Da troppo tempo il nostro Paese si caratterizza per una gestione sciatta delle proprie ricchezze artistiche, spesso abbandonate negli scantinati dei musei proprio perché lo Stato ha preteso di agire in prima persona e ha messo fuori gioco i privati: che pure esistono e chiedono solo più spazio.
Per giunta, quando lo Stato finanzia la cultura, quest’ultima diventa fatalmente un’ancella dei potenti di turno, così che l’intellettuale si mette a ripetere quanto piace a chi gestisce i cordoni della spesa. La vecchia regola «chi paga, comanda» vale in questo caso come in ogni altro.
Va aggiunto che il ritrarsi dello Stato può favorire una cultura più attenta al pubblico, facendo sì che ognuno si sforzi di soddisfare le attese dei cittadini, che non sempre sono il «popolo bue» disprezzato dai radical-chic. Due fenomeni italiani tanto popolari quanto di alto livello, la lirica ottocentesca e il cinema degli anni Cinquanta e Sessanta, si sono affermati senza sussidi pubblici. Molto semplicemente, furono frutto dell'intraprendenza di imprese e artisti.
Un ridimensionamento della spesa statale, anche se imposto da difficoltà di bilancio, può allora riequilibrare la situazione e ridare dinamismo al settore, dato che i tagli possono regalare una chance a quelle imprese che fino a oggi hanno dovuto competere con soggetti lautamente sovvenzionati - si pensi al teatro di prosa - e quindi ben poco interessati a guadagnarsi il favore della gente (tanto più che i finanziamenti sono spesso sganciati da ogni riscontro di mercato).
È comprensibile che vi siano registi, attori e danzatori che oggi versano calde lacrime.

In fondo all’animo di ogni uomo si nasconde il sogno di un’esistenza sottratta alla competizione. Ma anche nel mondo della cultura «stare sul mercato» significa saper soddisfare le attese altrui: farsi apprezzare, realizzare qualcosa che gli altri gradiscono, mettersi al servizio del prossimo.

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