Il mercoledì maledetto dei «portieri saponetta»

Agliardi e Abbiati protagonisti in negativo. Ma le «papere» sono sempre esistite

Marco Zucchetti

Senza scomodare gli errori del portiere azzurro Faroppa, che si perdono in un'Italia-Francia del 1912, in principio fu Saponetta Fiori. Lui, con la palla che proprio di farsi bloccare dalle sue mani sguscianti non ne voleva sapere. Ora Fiori se ne sta comodo sulla panchina del Milan, ma i palloni capricciosi continuano a non lasciarsi ammaestrare dai portieri. Li scherzano, li illudono e alla fine li tradiscono quando più sembrano innocui. E così il turno infrasettimanale di campionato si trasforma per incantesimo in un Mercoledì da Svarioni. Oscar di giornata al palermitano Agliardi, il cui sconclusionato tentativo di stop di petto regala al Catania il momentaneo pareggio nel derby. Altrettanto clamorosa l'incertezza di Abbiati, in vena di regali quando omaggia Frick di un pallone comodo da appoggiare in rete da pochi centimetri. La memoria torna al suo volo a Perugia, a quel miracolo che valse lo scudetto 1998-99 al Milan. Ma torna anche al maldestro tentativo di dribbling su Fiore in semifinale di coppa Italia, con San Siro ammutolito dal suo improvviso credersi il Garrincha di Abbiategrasso. Umiliante poi la figura rimediata dal romanista Doni, infilato in tunnel da Crespo ma riscattatosi con un rigore parato a Ibrahimovic. Simile invece il destino di Pantanelli e De Sanctis, per i quali i tiri innocui di Simplicio e Volpi si sono trasformati in minacce subdole, con la palla che sgattaiolava loro sotto la pancia per trotterellare poi in rete.
Palloni di nuova generazione e campi bagnati. Tutti hanno una spiegazione. Ma la storia del calcio mette in mostra più papere di un laghetto di campagna. Per ogni attaccante spuntato che rivede i suoi gol mancati nelle gesta dello «sciagurato» Calloni o del mitico Pancev, c'è un portiere che diventa Saponetta. Gli abbagli italiani di Van Der Sar e Lehmann, scappati in Inghilterra a cercar fortuna, e il pallone passato sotto le gambe di Taibi, che tarpò la sua carriera dopo poche gare nella porta del Manchester United. Ognuno ha la sua macchia.
Papere pesanti, come quella di Sarti, che nel '67 a Mantova costò lo scudetto alla sua Grande Inter, o come quella del baffuto portiere dell'Arsenal, Seaman, che si impappinò all'ultimo minuto della finale di coppa delle Coppe contro il Real Saragozza. Per non dimenticare quella di Zenga, uscito a farfalle su Caniggia nella notte poco magica della semifinale di Italia '90 contro l'Argentina. Papere esotiche, come quelle di Quiroga e Higuita, gli estrosi portieri di Perù e Colombia, ricordati per le castronerie più che per le parate; ma anche papere disinnescate, come quel pallone americano sfuggito dalle braccia di Pagliuca nella finale mondiale del '94. Il palo lo salvò e si meritò un bacio.
Succede a tutti, migliori compresi. Ma i migliori si riscattano. Successe a Zoff ad Argentina '78, dove ogni tiro da fuori area - fosse scagliato da Haan, Brandts, Nelinho o Dirceu - diventava un incubo: a Madrid poi fu Campione del Mondo. E successe a Dida, che sotto la pioggia di Leeds si lasciò sfuggire un pallone innocuo facendo urlare allo scempio per l'ennesimo portiere brasiliano imbarazzante: tre anni (e innumerevoli panchine) dopo, eccolo parare tre rigori in finale di Champions. Nessuno si imbarazzava più.
La palla toglie, la palla dà. Spesso, ma non sempre. Non a Moacir Barbosa, il portiere del Brasile della finale persa contro l'Uruguay di Ghiggia e Schiaffino al Maracanà. Lui, colpevole solo di aver incassato un gol parabile, fu eletto a capro espiatorio da una Nazione disperata, evitato da tutti.

Per lui nessuna saponetta ironica ma profumata, nessun compagno ad abbracciarlo, nessuna redenzione. Per lui solo quella maledizione che come una roulette russa colpisce a turno ogni portiere, la maledizione di una palla facile che sfugge.

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