La Merini con la febbre scrive un’ode a Letizia

Un posto a tavola per lei c’era sempre. E lei non mancava mai all’appuntamento. Alda Merini ad ogni ferragosto lasciava le sue rime e i suoi pensieri e a pranzo si portava solo l’immancabile sigaretta. Un giorno là fuori con la pazza folla: a pranzo con gli altri, suoi coetanei che come lei affrontano da soli questa stagione della vita. Alda Merini avrebbe voluto esserci anche venerdì all’Hotel Mariott per il pranzo di ferragosto, ma di mezzo ci si è messa l’influenza. Una brutta tosse e qualche linea di febbre hanno costretto la poetessa milanese a declinare l’invito del sindaco.
A casa, fra suffumigi e coperte, l’influenza non ha però scalfito la sua vena poetica e la Merini ha voluto, suo modo, essere presente alla festa, con quello che sa fare meglio: scrivere.

Ha preso carta e penna e dedicato a Letizia, sindaco gentile, una «mini ode», agile ed affettuosa, per «giustificare» la sua assenza, ringraziare dell’invito e spiegare ancora una volta che stagione sia questa vecchiaia e come ci si senta quando l’argento ti colora i capelli e le pieghe ruvide dell’animo fanno trapelare tutto il tuo amore un po’ così, come a colpi di tosse: «quel che tu credi odio è un amore sublime, che forse si esprime male perché ti vorrebbe abbracciare».

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