Merola, il candidato pasticcione che fa tremare i democratici

Bologna Per la campagna delle amministrative 2011, il Pd bolognese ha stanziato 230mila euro, soldi che però difficilmente serviranno a coprire i guai e le gaffes che continua a collezionare il candidato sindaco incoronato dalle primarie. Virginio Merola da Caserta, trapiantato a Bologna a cinque anni, non decolla. Anzi, cola a picco con lo sconcerto crescente del Pd.
La campagna di affissioni nei quartieri popolari vende un’immagine giovane invocando «l’aria fresca» ma Merola, nonostante i giochi di prestigio, ha un passato ingombrante. Cinque anni di assessorato all’Urbanistica con Sergio Cofferati non si cancellano con foto senza il simbolo del partito all’insegna di una finta «purezza simil-civica». I democratici stanno ancora cercando di dimenticare il «Cinese» che nel 2009, mentre chiudeva la valigia diretto a Bruxelles, lasciava Bologna profetizzando: «Dopo di me verrà il diluvio». Non ci è andato molto lontano, Cofferati. Le dimissioni del sindaco prodiano Flavio Delbono, travolto dallo scandalo sexy e quindici mesi di commissariamento, per la roccaforte rossa dalla tradizione del buongoverno, sono uno tzunami. Ma un fil rouge lega Merola a Cofferati: poco feeling con il partito. Prova ne sono i dossier anonimi contro il candidato che odorano di fuoco amico e che hanno intasato la procura dopo le primarie. Il resto è tutta farina del suo sacco. Risultato è che nel Pd cresce la preoccupazione. Al primo confronto pubblico con gli avversari organizzato «in casa» dal senatore Pd Walter Vitali, Merola ha sparato ad alzo zero sui compagni. «Il declino degli ultimi dieci anni non è della città - ha scandito bene - ma della classe dirigente e del ceto della politica» guadagnandosi così i fischi del pubblico e il nervosismo dei democratici che cercano (a questo punto suo malgrado) di sostenerlo. E ancora. La maledizione della radio dove, a digiuno di calcio, ha spedito il Bologna in serie B (e da quando l’ha detto il senatore Pdl Filippo Berselli, grande tifoso, non ha mancato di rimarcare come il rischio di andarci sia reale, viste le sconfitte collezionate); poi l’intervista a tasso alcolico e i sospetti generati intorno a lui da quel giorno. Quindi le indisposizioni a singhiozzo costate al Pd forte imbarazzo con i suoi partigiani. L’assenza di Merola alla festa di Liberazione di Bologna, il 21 aprile, è stata resa ancora più clamorosa dalla presenza del candidato leghista (sostenuto dal centrodestra) Manes Bernardini. Sprofondato in un clamoroso impaccio, il Pd ha portato una corona al sacrario dei caduti mentre Virginio Merola, si è appellato a un malessere che lo ha tenuto lontano dalla piazza alle 9, ma non dai dipendenti del Cup e della società del trasporto pubblico nelle ore successive.
Così ieri, pronti i cannoni, i democratici hanno affollato il 25 Aprile trasformandolo in quello che il Pdl ha definito un «comizio elettorale». L’assenteista Merola ha attaccato l’avversario colpevole di essere un candidato inadatto in quanto leghista. «Chi si candida deve avere la consapevolezza del ruolo a cui aspira ragionando fuori da schemi precostituiti», la replica del candidato del centrodestra Bernardini che, come sempre, smorza i toni. Perché alzarli, poi? Lui, il leghista buono in piazza non è mai mancato, così come non ha mai perso una partita dei rossoblu, né ha mai sferrato attacchi diretti verso le persone. Piuttosto i temi. Uno per tutti? La lunga battaglia contro il Civis, il tram su gomma a guida ottica tanto detestato dalla città e che Merola ha difeso finché non ha fatto i conti col consenso elettorale.

Anche sul tema della mobilità si combatte la partita bolognese. Poi ci sono gli aneddoti: i due avversari ieri mattina si sono ritrovati in piazza: il democratico Merola ci è arrivato in taxi, il leghista «scomodo» lo ha incrociato poco prima, sotto casa, pedalando in bicicletta.

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